Sino a tempi recenti, la coltivazione del lino (Linum usitatissimum L.) garantiva la materia prima per una pluralità di prodotti essenziali: è stato tra le principali piante tessili grazie alla lavorazione delle fibre cellulosiche estratte dallo stelo, mentre i semi erano sfruttati per la produzione di olio a scopo alimentare, medicamentoso e per l’illuminazione. La sua importanza è stata tale nel corso del Neolitico da farla rientrare tra le prime specie domesticate (founder crops) e, poi, oggetto di selezione varietale. Alcuni tra questi processi sono abbastanza noti per le fasi più antiche, mentre poco si sa per il Medioevo e, generalmente, le poche notizie riguardano gli aspetti connessi alla coltivazione e alla produzione tessile. Le recenti indagini archeologiche e archeobotaniche presso Rocchicella di Mineo (Catania) forniscono nuovi dati e spunti di riflessione sul tema. I dati archeologici e numismatici consentono di collocare agli inizi del IX secolo la rioccupazione del sito, che sorge sulle rovine di un villaggio protobizantino (VI-VII secolo). Indicatori ceramici e nuove tipologie edilizie contribuiscono a inquadrare questa fase nel contesto di una più ampia espansione demografica e socio economica della Sicilia sud-orientale di età tematica. Le analisi gascromatografiche e archeobotaniche condotte sui resti rinvenuti a ridosso del vano A, un vano di stoccaggio nei pressi dell’area artigianale, forniscono ulteriori spunti di riflessione: qui sono stati individuati, infatti, resti di lino carbonizzato, conservati in due distinti contenitori ceramici databili agli inizi del IX secolo. L’analisi gascromatografica del contenuto delle anfore sembrerebbe indicare una composizione simile, caratterizzata dalla consociazione di più elementi vegetali. A seguito dell’indagine biometrica dei semi è stato invece appurato che la varietà di lino impiegata nel preparato è probabilmente appartenente alla categoria “da olio”, ma presenta caratteristiche dimensionali peculiari che, al momento, non trovano confronti: ciò contribuirebbe a delineare il ruolo preminente della Sicilia bizantina come crocevia e luogo di diversificazione colturale nel bacino del Mediterraneo. L’attestazione di una “nuova” varietà a Rocchicella sembrerebbe indicare la necessità di implementare la produzione di olio di lino. In un contesto ambientale nel quale non doveva mancare la possibilità di reperire olio, grazie all’ampia presenza dell’olivicoltura, ciò appare anomalo e, forse, può spiegarsi in termini di impieghi differenziati preferenziali per le due materie prime. Parole chiave: Linum usitatissimum, archeobotanica, storia dell’agricoltura, Alto Medioevo, Sicilia.

Le vie del lino nel Medioevo: nuovi dati dal contesto bizantino di Rocchicella di Mineo (CT)

Anna Maria Grasso;Matilde Stella;Giuseppe E. De Benedetto;Girolamo Fiorentino
2021-01-01

Abstract

Sino a tempi recenti, la coltivazione del lino (Linum usitatissimum L.) garantiva la materia prima per una pluralità di prodotti essenziali: è stato tra le principali piante tessili grazie alla lavorazione delle fibre cellulosiche estratte dallo stelo, mentre i semi erano sfruttati per la produzione di olio a scopo alimentare, medicamentoso e per l’illuminazione. La sua importanza è stata tale nel corso del Neolitico da farla rientrare tra le prime specie domesticate (founder crops) e, poi, oggetto di selezione varietale. Alcuni tra questi processi sono abbastanza noti per le fasi più antiche, mentre poco si sa per il Medioevo e, generalmente, le poche notizie riguardano gli aspetti connessi alla coltivazione e alla produzione tessile. Le recenti indagini archeologiche e archeobotaniche presso Rocchicella di Mineo (Catania) forniscono nuovi dati e spunti di riflessione sul tema. I dati archeologici e numismatici consentono di collocare agli inizi del IX secolo la rioccupazione del sito, che sorge sulle rovine di un villaggio protobizantino (VI-VII secolo). Indicatori ceramici e nuove tipologie edilizie contribuiscono a inquadrare questa fase nel contesto di una più ampia espansione demografica e socio economica della Sicilia sud-orientale di età tematica. Le analisi gascromatografiche e archeobotaniche condotte sui resti rinvenuti a ridosso del vano A, un vano di stoccaggio nei pressi dell’area artigianale, forniscono ulteriori spunti di riflessione: qui sono stati individuati, infatti, resti di lino carbonizzato, conservati in due distinti contenitori ceramici databili agli inizi del IX secolo. L’analisi gascromatografica del contenuto delle anfore sembrerebbe indicare una composizione simile, caratterizzata dalla consociazione di più elementi vegetali. A seguito dell’indagine biometrica dei semi è stato invece appurato che la varietà di lino impiegata nel preparato è probabilmente appartenente alla categoria “da olio”, ma presenta caratteristiche dimensionali peculiari che, al momento, non trovano confronti: ciò contribuirebbe a delineare il ruolo preminente della Sicilia bizantina come crocevia e luogo di diversificazione colturale nel bacino del Mediterraneo. L’attestazione di una “nuova” varietà a Rocchicella sembrerebbe indicare la necessità di implementare la produzione di olio di lino. In un contesto ambientale nel quale non doveva mancare la possibilità di reperire olio, grazie all’ampia presenza dell’olivicoltura, ciò appare anomalo e, forse, può spiegarsi in termini di impieghi differenziati preferenziali per le due materie prime. Parole chiave: Linum usitatissimum, archeobotanica, storia dell’agricoltura, Alto Medioevo, Sicilia.
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