Che Pirandello abbia avuto un rapporto controverso col mondo della scuola è un fatto risaputo. Il suo profilo di maestro è ormai accertato, e ciò grazie a contributi specifici che hanno di volta in volta messo in luce la sua scarsa propensione per gli obblighi e le pressanti incombenze gravanti sul suo ruolo di professore. Ma tralasciando ogni considerazione riguardante certo suo lassismo scolastico, come pure le vacillanti presenze ai Consigli nonché l’uggia provata verso i colleghi, e valutando invece il contributo offerto nell’ufficio propriamente educativo-didattico, è innegabile che in tale ambito Pirandello abbia sempre denotato uno spiccato senso del dovere nell’ottemperanza agli obblighi formativi, muovendosi lungo un terreno di modernismo pedagogico-istruttivo, messo consapevolmente al servizio di una specifica platea di giovani fruitori (future insegnanti). In varie testimonianze documentarie risultano specifici accenni a un’esperienza didattica, facente leva sui presupposti di un metodo intuitivo e sperimentale, ancorata a una prassi anti-libresca e anti-meccanicistica, organizzata attorno all’espressione delle singole individualità degli allievi e sul rispetto del loro mondo interiore. Il tutto sempre uniformato all’intento di conseguire risvolti formativi pragmatici, validi cioè a innescare pratiche ricadute esistenziali. E nell’ottica dimostrativa di un’autentica vocazione pedagogica pirandelliana (ancora poco esplorata quando non addirittura negata) non meno interesse suscita tutta una giovanile produzione favolistica, dedicata espressamente ai ragazzi, esemplare caso di sconfinamento d’autore nei territori della gettonatissima letteratura per l’infanzia otto-novecentesca. Anch’essa sintomatica rivelazione, insomma, di come la vena pedagogica affiori visibilmente in molteplici circostanze dell’attività di Pirandello (cattedratica e non), che è possibile esaminare in relazione con i risvolti edificanti associati alla sua arte.

La vita della scuola e la scuola della vita. Pirandello educatore

SCARDICCHIO, Andrea
2013-01-01

Abstract

Che Pirandello abbia avuto un rapporto controverso col mondo della scuola è un fatto risaputo. Il suo profilo di maestro è ormai accertato, e ciò grazie a contributi specifici che hanno di volta in volta messo in luce la sua scarsa propensione per gli obblighi e le pressanti incombenze gravanti sul suo ruolo di professore. Ma tralasciando ogni considerazione riguardante certo suo lassismo scolastico, come pure le vacillanti presenze ai Consigli nonché l’uggia provata verso i colleghi, e valutando invece il contributo offerto nell’ufficio propriamente educativo-didattico, è innegabile che in tale ambito Pirandello abbia sempre denotato uno spiccato senso del dovere nell’ottemperanza agli obblighi formativi, muovendosi lungo un terreno di modernismo pedagogico-istruttivo, messo consapevolmente al servizio di una specifica platea di giovani fruitori (future insegnanti). In varie testimonianze documentarie risultano specifici accenni a un’esperienza didattica, facente leva sui presupposti di un metodo intuitivo e sperimentale, ancorata a una prassi anti-libresca e anti-meccanicistica, organizzata attorno all’espressione delle singole individualità degli allievi e sul rispetto del loro mondo interiore. Il tutto sempre uniformato all’intento di conseguire risvolti formativi pragmatici, validi cioè a innescare pratiche ricadute esistenziali. E nell’ottica dimostrativa di un’autentica vocazione pedagogica pirandelliana (ancora poco esplorata quando non addirittura negata) non meno interesse suscita tutta una giovanile produzione favolistica, dedicata espressamente ai ragazzi, esemplare caso di sconfinamento d’autore nei territori della gettonatissima letteratura per l’infanzia otto-novecentesca. Anch’essa sintomatica rivelazione, insomma, di come la vena pedagogica affiori visibilmente in molteplici circostanze dell’attività di Pirandello (cattedratica e non), che è possibile esaminare in relazione con i risvolti edificanti associati alla sua arte.
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