Il declino di Otranto in età moderna ridisegna l’organizzazione spaziale dell’antica provincia di Terra d’Otranto e stabilisce un nuovo criterio di centralità urbana. La città di Lecce acquista sempre più i caratteri di una piccola capitale rispetto alle comunità della provincia. I feudatari del territorio circostante spostano in questo nucleo urbano le loro residenze riprendendo, stante la perifericità rispetto alla capitale, i caratteri del modello napoletano di un corpo periferico gracile rispetto a una città ipertrofica. L’identità cittadina deve, quindi, aderire al prestigio nobiliare e la Chiesa deve anch’essa evocare il fasto di una tradizione radicata nel tempo. In questa costruzione identitaria di Lecce si inseriscono gli scontri tra le fazioni coagulate attorno agli ordini religiosi, soprattutto Gesuiti e Teatini, per affermare i riti e l’elevazione dei Santi Patroni. In questo contesto, a metà Seicento, si colloca l’azione del vescovo Luigi Pappacoda il quale, riprendendo alcune idee espresse da Iacopo Antonio Ferrari nella sua Apologia Paradossica della Città di Lecce, intende affermare il prestigio della città evocando su di essa la protezione dei protomartiri Oronzo, Giusto e Fortunato, ed esaltando l’azione del primo vescovo Oronzo nel processo di evangelizzazione di quei territori. Attraverso questa operazione, monsignor Pappacoda, seguendo gli indirizzi tridentini riafferma il potere vescovile rispetto alla politica religiosa e modera l’azione degli Ordini religiosi e delle consorterie che vi ruotano attorno. In tal modo il Capitolo vescovile diventa un’istituzione dove si affrontano, attraverso un’opera di mediazioni, le più importanti questioni relative all’amministrazione della città.

Poteri municipali e religiosi nella Lecce barocca: santi patroni e identità urbana

BARBAGALLO, Salvatore
2013-01-01

Abstract

Il declino di Otranto in età moderna ridisegna l’organizzazione spaziale dell’antica provincia di Terra d’Otranto e stabilisce un nuovo criterio di centralità urbana. La città di Lecce acquista sempre più i caratteri di una piccola capitale rispetto alle comunità della provincia. I feudatari del territorio circostante spostano in questo nucleo urbano le loro residenze riprendendo, stante la perifericità rispetto alla capitale, i caratteri del modello napoletano di un corpo periferico gracile rispetto a una città ipertrofica. L’identità cittadina deve, quindi, aderire al prestigio nobiliare e la Chiesa deve anch’essa evocare il fasto di una tradizione radicata nel tempo. In questa costruzione identitaria di Lecce si inseriscono gli scontri tra le fazioni coagulate attorno agli ordini religiosi, soprattutto Gesuiti e Teatini, per affermare i riti e l’elevazione dei Santi Patroni. In questo contesto, a metà Seicento, si colloca l’azione del vescovo Luigi Pappacoda il quale, riprendendo alcune idee espresse da Iacopo Antonio Ferrari nella sua Apologia Paradossica della Città di Lecce, intende affermare il prestigio della città evocando su di essa la protezione dei protomartiri Oronzo, Giusto e Fortunato, ed esaltando l’azione del primo vescovo Oronzo nel processo di evangelizzazione di quei territori. Attraverso questa operazione, monsignor Pappacoda, seguendo gli indirizzi tridentini riafferma il potere vescovile rispetto alla politica religiosa e modera l’azione degli Ordini religiosi e delle consorterie che vi ruotano attorno. In tal modo il Capitolo vescovile diventa un’istituzione dove si affrontano, attraverso un’opera di mediazioni, le più importanti questioni relative all’amministrazione della città.
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