Attraverso l’analisi dei passi in cui, presso gli autori greci, ricorre la parola “alethés” e “alétheia”, l’autore ravvisa in tutto due punti di vista riguardanti il problema della verità: quello platonico e quello aristotelico. La prospettiva platonica gravita attorno al concetto di “verità” come “non-dimenticanza” (e, quindi, come “ricordo”), secondo uno dei due significati del verbo “lantháno”, che è quello di “dimentico”: questa prospettiva sarà molto cara ai Padri della Chiesa, che vedranno nella tesi platonica la nozione evangelica di verità come “memorialità” («Fate questo ‘in memoria’ di me»). La prospettiva aristotelica fa perno sul concetto di “verità” come “scoperta”, secondo l’altro significato del verbo “lantháno”, che è quello di “copro”, “nascondo”. La prospettiva platonica presuppone che la verità delle cose, consistente nelle loro idee, create dalla divinità, è ricevuta dall’anima in una preesistenza precedente e poi applicata alla cose, quando l’uomo, dopo che la sua anima si è unita ad un corpo, le conosce in questa vita. Quella aristotelica presuppone che dapprima l’intelletto (agente) riceva il lógos dalle cose e poi che l’intelletto paziente applichi questo lógos alle cose, sotto forma di predicato, quando le giudica. San Tommaso ha unificato queste due prospettiva in una sola: le idee si trovano, al principio, nell’Intelletto divino (il “Verbum Dei”), poi passano nelle cose attraverso l’atto creativo. L’intelletto agente dell’uomo, astraendo dalle cose il lógos in esso immanente, quale loro “forma”, viene in ultima analisi a conoscere la verità delle cose che, originariamente esisteva nella mente divina. La conoscenza di questo lógos è la vera sapienza, perché essa ci fa conoscere ciò che sta al loro “principio” (“arché”). Proprio come inizia il prologo del Vangelo di Giovanni: «Al principio (“en arché) c’era il lógos».
La verità come adeguazione in Tommaso d'Aquino
FIORENTINO, Fernando
2006-01-01
Abstract
Attraverso l’analisi dei passi in cui, presso gli autori greci, ricorre la parola “alethés” e “alétheia”, l’autore ravvisa in tutto due punti di vista riguardanti il problema della verità: quello platonico e quello aristotelico. La prospettiva platonica gravita attorno al concetto di “verità” come “non-dimenticanza” (e, quindi, come “ricordo”), secondo uno dei due significati del verbo “lantháno”, che è quello di “dimentico”: questa prospettiva sarà molto cara ai Padri della Chiesa, che vedranno nella tesi platonica la nozione evangelica di verità come “memorialità” («Fate questo ‘in memoria’ di me»). La prospettiva aristotelica fa perno sul concetto di “verità” come “scoperta”, secondo l’altro significato del verbo “lantháno”, che è quello di “copro”, “nascondo”. La prospettiva platonica presuppone che la verità delle cose, consistente nelle loro idee, create dalla divinità, è ricevuta dall’anima in una preesistenza precedente e poi applicata alla cose, quando l’uomo, dopo che la sua anima si è unita ad un corpo, le conosce in questa vita. Quella aristotelica presuppone che dapprima l’intelletto (agente) riceva il lógos dalle cose e poi che l’intelletto paziente applichi questo lógos alle cose, sotto forma di predicato, quando le giudica. San Tommaso ha unificato queste due prospettiva in una sola: le idee si trovano, al principio, nell’Intelletto divino (il “Verbum Dei”), poi passano nelle cose attraverso l’atto creativo. L’intelletto agente dell’uomo, astraendo dalle cose il lógos in esso immanente, quale loro “forma”, viene in ultima analisi a conoscere la verità delle cose che, originariamente esisteva nella mente divina. La conoscenza di questo lógos è la vera sapienza, perché essa ci fa conoscere ciò che sta al loro “principio” (“arché”). Proprio come inizia il prologo del Vangelo di Giovanni: «Al principio (“en arché) c’era il lógos».I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.