Il 2007 passerà probabilmente alla storia come l’annus horribilis dell’industria italiana del risparmio gestito che ha registrato una raccolta netta negativa di circa 53 miliardi di euro, pari a quasi il 9% del patrimonio netto in essere alla fine del 2006. E questa dinamica appare particolarmente preoccupante in quanto si è verificata al termine di un quinquennio decisamente positivo per l’andamento delle borse mondiali. Sebbene non vi siano evidenze empiriche che segnalino una stabilità della relazione tra la raccolta netta e la performance dei mercati, il divergente andamento dei due fenomeni ha indotto le associazioni di categoria, le autorità di vigilanza e gli operatori professionali ad interrogarsi sul futuro dell’industria del risparmio gestito. Le motivazioni più frequentemente addotte per spiegare la crisi del settore riguardano il trattamento fiscale penalizzante rispetto ai fondi di diritto estero, l’eccessiva trasparenza rispetto a “sostituti” disponibili sul mercato finanziario italiano (le polizze e le obbligazioni strutturate) e la struttura dell’offerta con particolare riferimento alla mancata distinzione tra produzione e distribuzione. Il tema del pricing dei fondi comuni si colloca, quindi, a pieno titolo nell’ambito del dibattito sulla più opportuna configurazione della catena del valore del risparmio gestito e, in particolare, sulla distinzione, introdotta dalla disciplina Mifid, tra attività di consulenza, collocamento ed execution only. Questa graduazione dell’intensità del servizio offerto al risparmiatore trova la propria ragion d’essere nel ruolo svolto dal soggetto che gestisce la relazione di clientela (la distribuzione) e deve quindi trascendere dalla natura e dalla tipologia del prodotto finanziario utilizzato (la produzione). Le attuali modalità di pricing dei fondi comuni di investimento, che fanno transitare dal prodotto anche la remunerazione della distribuzione - attraverso il meccanismo della retrocessione -, mal si conciliano con la nuova impostazione regolamentare che, non a caso, è focalizzata sulle modalità distributive più che su quelle produttive. Obiettivo dell’articolo è di proporre una prospettiva di ricerca nell’ambito dell’economia degli intermediari finanziari che metta in evidenza le criticità dell’attuale impostazione e che incentivi una più netta distinzione tra produzione e distribuzione.

Il pricing dell'attività di consulenza nel risparmio gestito: profili finanziari e normativi

CUCURACHI, Paolo Antonio;
2008-01-01

Abstract

Il 2007 passerà probabilmente alla storia come l’annus horribilis dell’industria italiana del risparmio gestito che ha registrato una raccolta netta negativa di circa 53 miliardi di euro, pari a quasi il 9% del patrimonio netto in essere alla fine del 2006. E questa dinamica appare particolarmente preoccupante in quanto si è verificata al termine di un quinquennio decisamente positivo per l’andamento delle borse mondiali. Sebbene non vi siano evidenze empiriche che segnalino una stabilità della relazione tra la raccolta netta e la performance dei mercati, il divergente andamento dei due fenomeni ha indotto le associazioni di categoria, le autorità di vigilanza e gli operatori professionali ad interrogarsi sul futuro dell’industria del risparmio gestito. Le motivazioni più frequentemente addotte per spiegare la crisi del settore riguardano il trattamento fiscale penalizzante rispetto ai fondi di diritto estero, l’eccessiva trasparenza rispetto a “sostituti” disponibili sul mercato finanziario italiano (le polizze e le obbligazioni strutturate) e la struttura dell’offerta con particolare riferimento alla mancata distinzione tra produzione e distribuzione. Il tema del pricing dei fondi comuni si colloca, quindi, a pieno titolo nell’ambito del dibattito sulla più opportuna configurazione della catena del valore del risparmio gestito e, in particolare, sulla distinzione, introdotta dalla disciplina Mifid, tra attività di consulenza, collocamento ed execution only. Questa graduazione dell’intensità del servizio offerto al risparmiatore trova la propria ragion d’essere nel ruolo svolto dal soggetto che gestisce la relazione di clientela (la distribuzione) e deve quindi trascendere dalla natura e dalla tipologia del prodotto finanziario utilizzato (la produzione). Le attuali modalità di pricing dei fondi comuni di investimento, che fanno transitare dal prodotto anche la remunerazione della distribuzione - attraverso il meccanismo della retrocessione -, mal si conciliano con la nuova impostazione regolamentare che, non a caso, è focalizzata sulle modalità distributive più che su quelle produttive. Obiettivo dell’articolo è di proporre una prospettiva di ricerca nell’ambito dell’economia degli intermediari finanziari che metta in evidenza le criticità dell’attuale impostazione e che incentivi una più netta distinzione tra produzione e distribuzione.
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