Molti paesi del Sud America non hanno mai fatto pienamente i conti con il proprio passato, con i traumi creati dalla violenza delle dittature di fine Novecento. Questa rimozione della memoria provoca, ancora oggi, profonde inquietudini sociali e l’impossibilità di raggiungere un’identità coesa. In Cile le migliaia di desaparecidos furono un modo per far scomparire anche il sogno rivoluzionario incarnato da Salvador Allende e per annientare la memoria e l’identità di un’intera generazione di giovani. Con la fine della dittatura, la nuova democradura ha preferito attuare forme politiche di transizione piuttosto che istituire lunghi processi giudiziari: amnesia e amnistia hanno finito, di fatto, per coincidere. Tuttavia, davanti alla desaparecion dei corpi del reato e della stessa giustizia, una generazione di cineasti militanti ha continuato a documentare la memoria traumatica del Cile, così come aveva iniziato a fare durante i tre anni del governo di Allende e poi, eroicamente, anche durante gli anni della clandestinità o dell’esilio. Sono i documentaristi del cosiddetto cinema di Allende e i loro film possono essere considerati sostituti funzionali dei rituali giudiziari perché il cinema, come il processo, è «l’esatto contrario della rimozione: è un superamento che passa innanzitutto per una rappresentazione». Patricio Guzmán è il documentarista che più di tutti si è dedicato, ossessivamente e ostinatamente, al racconto visuale delle cause e delle tragiche conseguenze della dittatura. In oltre mezzo secolo di lavori, il suo cinema documentario ha dimostrato di essere una forma di ricerca sociale unica nel ricostruire e superare la memoria traumatica del Cile, provando a trasformarla da campo di battaglia a strumento per restaurare la propria identità infranta. Descrivere il cinema di Guzmán significa raccontare la sua memoria ostinata, ma anche costruire una apologia delle ricerche visuali.

La memoria ostinata. Il cinema di Patricio Guzmán come ricerca sociale

Punzi, Corrado
2019-01-01

Abstract

Molti paesi del Sud America non hanno mai fatto pienamente i conti con il proprio passato, con i traumi creati dalla violenza delle dittature di fine Novecento. Questa rimozione della memoria provoca, ancora oggi, profonde inquietudini sociali e l’impossibilità di raggiungere un’identità coesa. In Cile le migliaia di desaparecidos furono un modo per far scomparire anche il sogno rivoluzionario incarnato da Salvador Allende e per annientare la memoria e l’identità di un’intera generazione di giovani. Con la fine della dittatura, la nuova democradura ha preferito attuare forme politiche di transizione piuttosto che istituire lunghi processi giudiziari: amnesia e amnistia hanno finito, di fatto, per coincidere. Tuttavia, davanti alla desaparecion dei corpi del reato e della stessa giustizia, una generazione di cineasti militanti ha continuato a documentare la memoria traumatica del Cile, così come aveva iniziato a fare durante i tre anni del governo di Allende e poi, eroicamente, anche durante gli anni della clandestinità o dell’esilio. Sono i documentaristi del cosiddetto cinema di Allende e i loro film possono essere considerati sostituti funzionali dei rituali giudiziari perché il cinema, come il processo, è «l’esatto contrario della rimozione: è un superamento che passa innanzitutto per una rappresentazione». Patricio Guzmán è il documentarista che più di tutti si è dedicato, ossessivamente e ostinatamente, al racconto visuale delle cause e delle tragiche conseguenze della dittatura. In oltre mezzo secolo di lavori, il suo cinema documentario ha dimostrato di essere una forma di ricerca sociale unica nel ricostruire e superare la memoria traumatica del Cile, provando a trasformarla da campo di battaglia a strumento per restaurare la propria identità infranta. Descrivere il cinema di Guzmán significa raccontare la sua memoria ostinata, ma anche costruire una apologia delle ricerche visuali.
2019
9788864581613
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