In molti eventi e processi del presente si avvertono gli echi di quei “tempi di oscurità” che Hannah Arendt ritrasse nelle Origini del totalitarismo. La quotidiana teoria dei morti in mare fornisce la raffigurazione della metafora che Arendt utilizzò per parlare degli apolidi: “schiuma della terra”. Analoga è anche l’impotenza degli strumenti derivati dalla concezione universale dei diritti umani a proteggere proprio i soggetti più fragili, in difesa dei quali si suppone che essi siano stati creati. Il saggio si centra sugli scritti di Hannah Arendt e di Simone Weil, due pensatrici che seppero analizzare, con radicalità ma senza cinismo, le lacune e le aporie della concezione universale dei diritti, di cui i profughi sono la testimonianza vivente. Arendt riflette sulla coincidenza tra la crisi degli stati nazione all’indomani della Grande Guerra e il tramonto dei diritti umani. La sua considerazione sul “diritto ad avere dei diritti” che è negato all’apolide, portano l’attenzione sulla endiadi contenuta surrettiziamente già nella Dichiarazione del 1789: il termine “uomo” che indica il soggetto di diritti pensati come innati e naturali secondo i principi dello iusnaturalismo, si restringe a quello del cittadino. Nella Dichiarazione del 1948, il termine “persona” sostituisce quello di “uomo”, a indicare l’inalienabile dignità di ogni essere umano indipendentemente da ogni distinzione, in primis della nazionalità. Fatto salvo il valore del percorso compiuto dalla Commissione dalle Nazioni Unite presieduta da Eleanor Roosevelt e la forza simbolica del testo prodotto, la sua inefficacia di fronte a una delle crisi umanitarie più tragiche che si sono prodotte in Europa dal dopoguerra, ci induce ad analizzare gli elementi di fragilità strutturale seguendo Simone Weil, che, ancora in piena guerra, metteva in discussione i principi dell’universalismo questionando la categoria di persona e la sua utilità per ripensare i fondamenti della giustizia e della convivenza.

Schiuma della terra. Una riflessione sulla vulnerabilità dei rifugiati a partire da Arendt e Weil

elena laurenzi
2021-01-01

Abstract

In molti eventi e processi del presente si avvertono gli echi di quei “tempi di oscurità” che Hannah Arendt ritrasse nelle Origini del totalitarismo. La quotidiana teoria dei morti in mare fornisce la raffigurazione della metafora che Arendt utilizzò per parlare degli apolidi: “schiuma della terra”. Analoga è anche l’impotenza degli strumenti derivati dalla concezione universale dei diritti umani a proteggere proprio i soggetti più fragili, in difesa dei quali si suppone che essi siano stati creati. Il saggio si centra sugli scritti di Hannah Arendt e di Simone Weil, due pensatrici che seppero analizzare, con radicalità ma senza cinismo, le lacune e le aporie della concezione universale dei diritti, di cui i profughi sono la testimonianza vivente. Arendt riflette sulla coincidenza tra la crisi degli stati nazione all’indomani della Grande Guerra e il tramonto dei diritti umani. La sua considerazione sul “diritto ad avere dei diritti” che è negato all’apolide, portano l’attenzione sulla endiadi contenuta surrettiziamente già nella Dichiarazione del 1789: il termine “uomo” che indica il soggetto di diritti pensati come innati e naturali secondo i principi dello iusnaturalismo, si restringe a quello del cittadino. Nella Dichiarazione del 1948, il termine “persona” sostituisce quello di “uomo”, a indicare l’inalienabile dignità di ogni essere umano indipendentemente da ogni distinzione, in primis della nazionalità. Fatto salvo il valore del percorso compiuto dalla Commissione dalle Nazioni Unite presieduta da Eleanor Roosevelt e la forza simbolica del testo prodotto, la sua inefficacia di fronte a una delle crisi umanitarie più tragiche che si sono prodotte in Europa dal dopoguerra, ci induce ad analizzare gli elementi di fragilità strutturale seguendo Simone Weil, che, ancora in piena guerra, metteva in discussione i principi dell’universalismo questionando la categoria di persona e la sua utilità per ripensare i fondamenti della giustizia e della convivenza.
2021
978-88-8305-171-5
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