La crisi sanitaria mondiale generata dall’infezione da SARS-COV-2 ha avuto un impatto notevole sulle vite delle persone più vulnerabili, sollevando allarmanti criticità relativamente alla tutela dei loro diritti. Si pensi alla limitazione del diritto alla socialità dei minorenni o degli anziani, o alla compromissione del diritto alla salute psico-fisica delle persone malate o disabili. A ben vedere, tuttavia, le restrizioni normative poste in essere dagli Stati per fronteggiare il fenomeno pandemico, più che generare forme nuove di vulnerabilità hanno esacerbato le strutturali e preesistenti vulnerabilità, andando ad originare differenti fenomeni di double jeopardy. Un esempio paradigmatico è senz’altro quello connesso alla condizione dei soggetti che già ordinariamente sono privati della libertà, ovvero i detenuti. Come sottolineato dal “Sottocomitato delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, infatti, «le persone private della libertà costituiscono un gruppo particolarmente vulnerabile a causa della natura delle restrizioni alle quali sono già sottoposte e della loro limitata capacità di adottare misure precauzionali» e ciò, a maggior ragione, «all’interno delle carceri e delle altre strutture di detenzione, molte delle quali sono gravemente sovraffollate e in condizioni igieniche precarie». A tal riguardo è necessario rammentare che l’Italia, a differenza di altri Stati, non si è avvalsa della facoltà di esercitare le clausole derogatorie dei diritti umani e, in particolare, di quella prevista dall’art. 15 CEDU (Deroga in caso di stato d’urgenza), motivo per il quale tutti i diritti sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo – su tutti l’art. 3, che vieta i trattamenti inumani e degradanti - sono rimasti formalmente in vigore per tutta la durata dell’emergenza. Anche a partire da tale considerazione, il presente contributo, focalizza l’attenzione sul ruolo svolto e sulle prassi adottate durante la pandemia dal “Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti” (CPT) del Consiglio d’Europa, organo istituito ai sensi della “Convenzione per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti” che ha il compito di esaminare «per mezzo di sopralluoghi, il trattamento delle persone private di libertà allo scopo di rafforzare, se necessario, la loro protezione [...]». (art. 1). Tale organo, che ordinariamente verifica il rispetto delle norme della relativa Convenzione tramite un sistema di visite “periodiche” e “ad hoc”, all’interno degli Stati, ha dovuto, per ovvi motivi, adattare il proprio funzionamento a causa della forte limitazione agli spostamenti, riuscendo, comunque, ad adempiere con successo il proprio mandato, e formalizzando, già nel marzo del 2020, dieci “Principi relativi al trattamento delle persone private della libertà personale nell’ambito della pandemia del coronavirus (COVID-19)”. Alla luce della pubblicazione di tali principi, e con particolare riferimento al contesto italiano, si intende, inoltre, indagare se e come le prassi del CTP in pandemia abbiano impattato sui diritti dei detenuti. In tal senso, l’analisi riguarderà anche l’operato del “Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale” che agisce in Italia anche in qualità di “meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene, crudeli, inumani o degradanti”

Ruolo, prassi e incidenza del Comitato europeo per la prevenzione della tortura durante l’emergenza pandemica

Vincenzo Lorubbio
2022-01-01

Abstract

La crisi sanitaria mondiale generata dall’infezione da SARS-COV-2 ha avuto un impatto notevole sulle vite delle persone più vulnerabili, sollevando allarmanti criticità relativamente alla tutela dei loro diritti. Si pensi alla limitazione del diritto alla socialità dei minorenni o degli anziani, o alla compromissione del diritto alla salute psico-fisica delle persone malate o disabili. A ben vedere, tuttavia, le restrizioni normative poste in essere dagli Stati per fronteggiare il fenomeno pandemico, più che generare forme nuove di vulnerabilità hanno esacerbato le strutturali e preesistenti vulnerabilità, andando ad originare differenti fenomeni di double jeopardy. Un esempio paradigmatico è senz’altro quello connesso alla condizione dei soggetti che già ordinariamente sono privati della libertà, ovvero i detenuti. Come sottolineato dal “Sottocomitato delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, infatti, «le persone private della libertà costituiscono un gruppo particolarmente vulnerabile a causa della natura delle restrizioni alle quali sono già sottoposte e della loro limitata capacità di adottare misure precauzionali» e ciò, a maggior ragione, «all’interno delle carceri e delle altre strutture di detenzione, molte delle quali sono gravemente sovraffollate e in condizioni igieniche precarie». A tal riguardo è necessario rammentare che l’Italia, a differenza di altri Stati, non si è avvalsa della facoltà di esercitare le clausole derogatorie dei diritti umani e, in particolare, di quella prevista dall’art. 15 CEDU (Deroga in caso di stato d’urgenza), motivo per il quale tutti i diritti sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo – su tutti l’art. 3, che vieta i trattamenti inumani e degradanti - sono rimasti formalmente in vigore per tutta la durata dell’emergenza. Anche a partire da tale considerazione, il presente contributo, focalizza l’attenzione sul ruolo svolto e sulle prassi adottate durante la pandemia dal “Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti” (CPT) del Consiglio d’Europa, organo istituito ai sensi della “Convenzione per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti” che ha il compito di esaminare «per mezzo di sopralluoghi, il trattamento delle persone private di libertà allo scopo di rafforzare, se necessario, la loro protezione [...]». (art. 1). Tale organo, che ordinariamente verifica il rispetto delle norme della relativa Convenzione tramite un sistema di visite “periodiche” e “ad hoc”, all’interno degli Stati, ha dovuto, per ovvi motivi, adattare il proprio funzionamento a causa della forte limitazione agli spostamenti, riuscendo, comunque, ad adempiere con successo il proprio mandato, e formalizzando, già nel marzo del 2020, dieci “Principi relativi al trattamento delle persone private della libertà personale nell’ambito della pandemia del coronavirus (COVID-19)”. Alla luce della pubblicazione di tali principi, e con particolare riferimento al contesto italiano, si intende, inoltre, indagare se e come le prassi del CTP in pandemia abbiano impattato sui diritti dei detenuti. In tal senso, l’analisi riguarderà anche l’operato del “Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale” che agisce in Italia anche in qualità di “meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene, crudeli, inumani o degradanti”
2022
979-12-5976-265-8
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