Il fenomeno della violenza di genere, intesa come la violenza maschile agita sulle donne in quanto tali, è divenuto, da almeno vent’anni a questa parte, uno dei temi di dibattito più salienti in una pluralità di ambiti, da quello sociologico a quello giuridico e politico, da quello criminologico a quello psicologico, medico e sanitario. La violenza di genere è infatti un fenomeno globale, senza confini territoriali, culturali, sociali o di classe, che riguarda milioni di donne in tutto il mondo. Per un’analisi dettagliata delle relative evidenze statistiche, a livello globale e nazionale, rinviamo ai successivi contributi contenuti in questo volume (e in particolare a quelli della Prof.ssa Merzagora e a quello del Prof. Di Nunno), ma basta citare un solo dato per comprendere appieno le dimensioni del fenomeno in tutta la sua gravità: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che a livello mondiale il 35% delle donne ha subito almeno un episodio di violenza fisica e/o sessuale nel corso della sua vita. Né si deve pensare che la situazione sia migliore o differente in Italia, dove un’altra ricerca, condotta dall’Istat nel 2006, ha permesso di delineare un quadro altrettanto emergenziale, con un totale del 31,9% delle donne intervistate che si è dichiarato vittima di almeno un episodio di violenza fisica e/o sessuale nel corso della propria esistenza. Ad allarmare, poi, non è solo l’incidenza del fenomeno, ma anche la gravità delle sue conseguenze. Anche quando gli episodi di violenza non sfociano nel femminicidio (o femicidio che dir si voglia), infatti, comportano una serie di effetti diretti e indiretti che riguardano non solo la donna stessa, ma anche la sua famiglia, in particolare i figli, soprattutto se minori, e la comunità nel suo complesso. Un corpus sempre più nutrito di studi ha dimostrato come la violenza contro le donne, sia essa di tipo fisico, sessuale, psicologico o economico, ha pesanti ricadute a lungo termine sulla salute delle vittime; le donne che hanno subito abusi, infatti, patiscono non solo un’ampia gamma di conseguenze fisiche dirette (lesioni, fratture, disabilità di varia natura, disturbi ginecologici, malattie a trasmissione sessuale), ma sono altresì soggette a complicazioni concernenti la loro salute psicologica e mentale (depressione, tendenze suicidarie, disturbo post-traumatico da stress, abuso di alcoolici e sostanze stupefacenti, solo per citarne alcune). Altrettanto problematiche si rivelano le ripercussioni di tipo intergenerazionale, legate agli effetti della violenza assistita, che sono spesso destinate a incidere in maniera decisiva sullo sviluppo emotivo e lo stile di relazione dei minori appartenenti ai nuclei familiari in cui si verificano episodi di abuso. Il che ci porta infine a discutere del nucleo familiare quale teatro privilegiato delle violenze contro la donna. Tutte le ricerche dedicate all’argomento hanno infatti messo in luce come la violenza domestica, agita nel contesto familiare, e ancora più specificamente l’Intimate Partner Violence (IPV), ossia la violenza perpetrata da un uomo nei confronti della moglie o della compagna nell’ambito di una relazione di coppia, risultino di gran lunga le più comuni tra le forme di abuso che rientrano nella più generale categoria di violenza di genere. Un dato, questo, che contravviene alla comune nozione di famiglia quale nido degli affetti e delle cure, ma che pure, come detto, è ampiamente attestato e comprovato nella letteratura scientifica. Alla radice di questa problematica appare allora necessario individuare e indagare un’altra nozione: quella di conflitto. Il conflitto è un elemento caratterizzante di tutte le forme di relazione, a livello culturale o sociale quanto a livello inter-personale; in quanto tale è una componente ineliminabile di ogni forma di incontro e convivenza e proprio dalla capacità di risoluzione del conflitto dipende la stabilità del sistema di relazione. Una degenerazione del conflitto determinata dalla mancata, incompleta o disfunzionale risoluzione dello stesso è invariabilmente la causa della dissoluzione della relazione o dell’instaurarsi di dinamiche disfunzionali, tali da determinare tensioni e aggressività che nei peggiori dei casi finiscono poi con lo sfociare nell’esercizio della violenza. Comprendere le ragioni della violenza allo scopo di prevenirla, evitarne il ripetersi o mitigarne gli effetti negativi una volta che questa si sia manifestata (quelle che tecnicamente si definiscono prevenzione primaria, secondaria e terziaria), implica allora anche la necessità di comprendere le ragioni del conflitto e quella di addivenire a efficaci strategie di gestione, negoziazione e risoluzione dello stesso. Il contenuto di questo volume fa riferimento ad una serie di riflessioni e studi prodotti nell’ambito dell’attività di ricerca e didattica della cattedra di Criminologia dell’Università del Salento, che hanno trovato espressione nell’elaborazione di un cospicuo numero di tesi di laurea nonché nella promozione e partecipazione a numerosi convegni e iniziative culturali tra le quali, in particolare, il seminario di studi dall’omonimo titolo “La violenza nelle relazioni affettive”, presieduto dal Prof. Francesco Carrieri e tenutosi in Lecce nel giugno del 2013. Si è ritenuto opportuno rendere conto dell’evoluzione della giurisprudenza sull’argomento nelle more della pubblicazione.

La violenza nelle relazioni affettive

Nunzio Di Nunno
2017-01-01

Abstract

Il fenomeno della violenza di genere, intesa come la violenza maschile agita sulle donne in quanto tali, è divenuto, da almeno vent’anni a questa parte, uno dei temi di dibattito più salienti in una pluralità di ambiti, da quello sociologico a quello giuridico e politico, da quello criminologico a quello psicologico, medico e sanitario. La violenza di genere è infatti un fenomeno globale, senza confini territoriali, culturali, sociali o di classe, che riguarda milioni di donne in tutto il mondo. Per un’analisi dettagliata delle relative evidenze statistiche, a livello globale e nazionale, rinviamo ai successivi contributi contenuti in questo volume (e in particolare a quelli della Prof.ssa Merzagora e a quello del Prof. Di Nunno), ma basta citare un solo dato per comprendere appieno le dimensioni del fenomeno in tutta la sua gravità: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che a livello mondiale il 35% delle donne ha subito almeno un episodio di violenza fisica e/o sessuale nel corso della sua vita. Né si deve pensare che la situazione sia migliore o differente in Italia, dove un’altra ricerca, condotta dall’Istat nel 2006, ha permesso di delineare un quadro altrettanto emergenziale, con un totale del 31,9% delle donne intervistate che si è dichiarato vittima di almeno un episodio di violenza fisica e/o sessuale nel corso della propria esistenza. Ad allarmare, poi, non è solo l’incidenza del fenomeno, ma anche la gravità delle sue conseguenze. Anche quando gli episodi di violenza non sfociano nel femminicidio (o femicidio che dir si voglia), infatti, comportano una serie di effetti diretti e indiretti che riguardano non solo la donna stessa, ma anche la sua famiglia, in particolare i figli, soprattutto se minori, e la comunità nel suo complesso. Un corpus sempre più nutrito di studi ha dimostrato come la violenza contro le donne, sia essa di tipo fisico, sessuale, psicologico o economico, ha pesanti ricadute a lungo termine sulla salute delle vittime; le donne che hanno subito abusi, infatti, patiscono non solo un’ampia gamma di conseguenze fisiche dirette (lesioni, fratture, disabilità di varia natura, disturbi ginecologici, malattie a trasmissione sessuale), ma sono altresì soggette a complicazioni concernenti la loro salute psicologica e mentale (depressione, tendenze suicidarie, disturbo post-traumatico da stress, abuso di alcoolici e sostanze stupefacenti, solo per citarne alcune). Altrettanto problematiche si rivelano le ripercussioni di tipo intergenerazionale, legate agli effetti della violenza assistita, che sono spesso destinate a incidere in maniera decisiva sullo sviluppo emotivo e lo stile di relazione dei minori appartenenti ai nuclei familiari in cui si verificano episodi di abuso. Il che ci porta infine a discutere del nucleo familiare quale teatro privilegiato delle violenze contro la donna. Tutte le ricerche dedicate all’argomento hanno infatti messo in luce come la violenza domestica, agita nel contesto familiare, e ancora più specificamente l’Intimate Partner Violence (IPV), ossia la violenza perpetrata da un uomo nei confronti della moglie o della compagna nell’ambito di una relazione di coppia, risultino di gran lunga le più comuni tra le forme di abuso che rientrano nella più generale categoria di violenza di genere. Un dato, questo, che contravviene alla comune nozione di famiglia quale nido degli affetti e delle cure, ma che pure, come detto, è ampiamente attestato e comprovato nella letteratura scientifica. Alla radice di questa problematica appare allora necessario individuare e indagare un’altra nozione: quella di conflitto. Il conflitto è un elemento caratterizzante di tutte le forme di relazione, a livello culturale o sociale quanto a livello inter-personale; in quanto tale è una componente ineliminabile di ogni forma di incontro e convivenza e proprio dalla capacità di risoluzione del conflitto dipende la stabilità del sistema di relazione. Una degenerazione del conflitto determinata dalla mancata, incompleta o disfunzionale risoluzione dello stesso è invariabilmente la causa della dissoluzione della relazione o dell’instaurarsi di dinamiche disfunzionali, tali da determinare tensioni e aggressività che nei peggiori dei casi finiscono poi con lo sfociare nell’esercizio della violenza. Comprendere le ragioni della violenza allo scopo di prevenirla, evitarne il ripetersi o mitigarne gli effetti negativi una volta che questa si sia manifestata (quelle che tecnicamente si definiscono prevenzione primaria, secondaria e terziaria), implica allora anche la necessità di comprendere le ragioni del conflitto e quella di addivenire a efficaci strategie di gestione, negoziazione e risoluzione dello stesso. Il contenuto di questo volume fa riferimento ad una serie di riflessioni e studi prodotti nell’ambito dell’attività di ricerca e didattica della cattedra di Criminologia dell’Università del Salento, che hanno trovato espressione nell’elaborazione di un cospicuo numero di tesi di laurea nonché nella promozione e partecipazione a numerosi convegni e iniziative culturali tra le quali, in particolare, il seminario di studi dall’omonimo titolo “La violenza nelle relazioni affettive”, presieduto dal Prof. Francesco Carrieri e tenutosi in Lecce nel giugno del 2013. Si è ritenuto opportuno rendere conto dell’evoluzione della giurisprudenza sull’argomento nelle more della pubblicazione.
2017
978-88-6760-498-2
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