In tutto il volume e in particolar modo nel saggio introduttivo di Forcina è affrontata la relazione tra situazione economica e benessere, relazione che scaturisce dalla domanda sul senso della felicità e dal rapporto tra denaro, lavoro, benessere economico e politiche di cittadinanza. La “differenza” di sguardo e di esperienza apre a una lettura politica radicale e mostra che quello che accade a ciascunao di noi, non riguarda solo noi. Questo consente di agire con consapevolezza, fiducia e responsabilità politica anche nella ricerca della felicità. Ne deriva una interessante visione, che pone la felicità in un benessere che non è casuale e neppure determinato, ma fondato su scelte orientate da desideri. Si tratta di una posizione ben diversa da quella che invoca “il diritto alla felicità”, perché questo genera radicalismo individualistico e spinge a conseguire il massimo della soddisfazione e godimento senza desiderio, che non è felicità. Viene a profilarsi un interessante modo di essere comunità che consente un più vero benessere, anche attraverso la riappropriazione del tempo per sé, e ne deriva una concezione della felicità che non va mai intesa come felicità interiore, così come la libertà femminile non è stata mai intesa come libertà interiore. Emerge il dato che la crisi che le società di mercato stanno attraversando non è solo crisi economica, ma è crisi relazionale, esasperata dalla grande illusione del mercato che ha monetizzato ogni tipo di relazione umana.
Quale felicità? Dal PIL al BIL:
Marisa Forcina
2011-01-01
Abstract
In tutto il volume e in particolar modo nel saggio introduttivo di Forcina è affrontata la relazione tra situazione economica e benessere, relazione che scaturisce dalla domanda sul senso della felicità e dal rapporto tra denaro, lavoro, benessere economico e politiche di cittadinanza. La “differenza” di sguardo e di esperienza apre a una lettura politica radicale e mostra che quello che accade a ciascunao di noi, non riguarda solo noi. Questo consente di agire con consapevolezza, fiducia e responsabilità politica anche nella ricerca della felicità. Ne deriva una interessante visione, che pone la felicità in un benessere che non è casuale e neppure determinato, ma fondato su scelte orientate da desideri. Si tratta di una posizione ben diversa da quella che invoca “il diritto alla felicità”, perché questo genera radicalismo individualistico e spinge a conseguire il massimo della soddisfazione e godimento senza desiderio, che non è felicità. Viene a profilarsi un interessante modo di essere comunità che consente un più vero benessere, anche attraverso la riappropriazione del tempo per sé, e ne deriva una concezione della felicità che non va mai intesa come felicità interiore, così come la libertà femminile non è stata mai intesa come libertà interiore. Emerge il dato che la crisi che le società di mercato stanno attraversando non è solo crisi economica, ma è crisi relazionale, esasperata dalla grande illusione del mercato che ha monetizzato ogni tipo di relazione umana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.