Negli ultimi dieci anni, le pratiche di digitalizzazione dell’informazione si sono imposte con forza, spesso con un approccio olistico, anche sul mondo della conoscenza. Si tratta di un’estensione del processo di traslazione dei documenti e dei manufatti materiali in formato digitale (oggetti digitalizzati), che comprende un universo di enti che nascono già digitali (digital born) e che popolano sempre più il nostro mondo. Oggi gli enti digitali assumono uno statuto ontologico ben più ampio di quello del semplice testimone o del clone digitale, ma costituiscono gli oggetti sociali di una memoria collettiva . "La dittatura del presente" (Riccardo Fedriga) dei nuovi “feticci digitali”, ovvero degli oggetti digitali che registrano e riproducono documenti storici, impone una riflessione sul ruolo che tali oggetti digitali costituiscono per la memoria, la conoscenza e la rappresentazione del mondo. Il punto fondamentale è il fattore attualizzante della riproduzione digitale e il suo condizionamento cognitivo, il potere cioè di rendere immediatamente fruibile un bene perduto per sempre che però genera una sorta di perdita di prospettiva storica. In relazione ai feticci digitali, allora, val la pena riflettere se, al di là del problema del presentismo, che ha certamente un suo impatto in termini culturali, di percezione della temporalità e della realtà, non si debba però considerare anche un aspetto positivo. Si tratta di un vantaggio che si può riscuotere solo a condizione di essere educati ai pericoli che incombono nell’utilizzare i feticci digitali in maniera acritica. A problemi di gestione e accesso della memoria digitale si oppone però un ineludibile vantaggio: esiste una «durezza dei fatti», che si rispecchia in senso modale anche nelle copie digitali, una produzione della presenza, per utilizzare un’espressione del filologo e teorico della letteratura Hans Ulrich Gumbrecht. Di fronte ai problemi determinati dal ricorso ai feticci digitali, allora, si propone un approccio minimalista di tipo critico: tenuto presente che la rappresentazione digitale non è l'oggetto reale, ma suo feticcio digitale, esso è però preferibile al nulla. Meglio qualcosa piuttosto che nulla, per dirlo con Leibniz.

Feticci digitali e memorie parallele. Una proposta minimalista

Fabio Ciracì
2018-01-01

Abstract

Negli ultimi dieci anni, le pratiche di digitalizzazione dell’informazione si sono imposte con forza, spesso con un approccio olistico, anche sul mondo della conoscenza. Si tratta di un’estensione del processo di traslazione dei documenti e dei manufatti materiali in formato digitale (oggetti digitalizzati), che comprende un universo di enti che nascono già digitali (digital born) e che popolano sempre più il nostro mondo. Oggi gli enti digitali assumono uno statuto ontologico ben più ampio di quello del semplice testimone o del clone digitale, ma costituiscono gli oggetti sociali di una memoria collettiva . "La dittatura del presente" (Riccardo Fedriga) dei nuovi “feticci digitali”, ovvero degli oggetti digitali che registrano e riproducono documenti storici, impone una riflessione sul ruolo che tali oggetti digitali costituiscono per la memoria, la conoscenza e la rappresentazione del mondo. Il punto fondamentale è il fattore attualizzante della riproduzione digitale e il suo condizionamento cognitivo, il potere cioè di rendere immediatamente fruibile un bene perduto per sempre che però genera una sorta di perdita di prospettiva storica. In relazione ai feticci digitali, allora, val la pena riflettere se, al di là del problema del presentismo, che ha certamente un suo impatto in termini culturali, di percezione della temporalità e della realtà, non si debba però considerare anche un aspetto positivo. Si tratta di un vantaggio che si può riscuotere solo a condizione di essere educati ai pericoli che incombono nell’utilizzare i feticci digitali in maniera acritica. A problemi di gestione e accesso della memoria digitale si oppone però un ineludibile vantaggio: esiste una «durezza dei fatti», che si rispecchia in senso modale anche nelle copie digitali, una produzione della presenza, per utilizzare un’espressione del filologo e teorico della letteratura Hans Ulrich Gumbrecht. Di fronte ai problemi determinati dal ricorso ai feticci digitali, allora, si propone un approccio minimalista di tipo critico: tenuto presente che la rappresentazione digitale non è l'oggetto reale, ma suo feticcio digitale, esso è però preferibile al nulla. Meglio qualcosa piuttosto che nulla, per dirlo con Leibniz.
2018
978-88-9359-192-8
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