Capitale, lavoro e cittadinanza hanno incarnato, nel loro insieme e con il loro stretto legame, la grande promessa di bene che la democrazia del Novecento portava con sé: il capitale avrebbe promosso lavoro, il lavoro avrebbe permesso la cittadinanza e la cittadinanza avrebbe determinato uguaglianza democratica. Non solo, ma le attese della democrazia della tardomodernità si sono configurate, sino al secondo dopoguerra, nella sequenza per cui l’economia di mercato avrebbe dovuto essere funzionale alla realizzazione della democrazia, producendo contemporaneamente ricchezza e democratica uguaglianza. Le forze del lavoro organizzato sarebbero dovute essere i pilastri della società e, mentre i sindacati i partiti e lo Stato democratico avrebbero dovuto regolare ogni tipo di conflitto tra le parti, lo Stato sociale avrebbe distribuito ricchezza e investito nei servizi per rendere effettiva l’uguaglianza. Si sarebbero avverate in questo modo libertà e distanza dal potere, garanzia di vita e possibilità di realizzazione personale e raggiungimento del bene comune. Forcina mostra , da un lato come gli orientamenti politici del capitalismo postindustriale non abbiano dato ragione a questa sequenza, anzi sembrano averla rovesciata nel raggiungimento del male-essere comune e nella crisi globale. Nel mondo in crisi i tratti decisivi del quadro politico postmoderno si sono configurati sempre più nelle logiche dell’eccezione, dell’anomalia e della recessione che va, appunto, “governata” con le varie messe in scena di governi sempre più apparentemente paritari, in realtà sempre più forti ed esigenti nei confronti dei cittadini, resi programmaticamente ubbidienti al duro comando del potere politico-economico, che a sua volta è diventato sempre più fiduciosamente certo della dissoluzione mediatica della realtà. Dall’altro lato analizza la profonda e innovativa radicalità delle analisi politiche delle filosofe del Novecento.

Capitale, lavoro, cittadinanza.

Marisa Forcina
2014-01-01

Abstract

Capitale, lavoro e cittadinanza hanno incarnato, nel loro insieme e con il loro stretto legame, la grande promessa di bene che la democrazia del Novecento portava con sé: il capitale avrebbe promosso lavoro, il lavoro avrebbe permesso la cittadinanza e la cittadinanza avrebbe determinato uguaglianza democratica. Non solo, ma le attese della democrazia della tardomodernità si sono configurate, sino al secondo dopoguerra, nella sequenza per cui l’economia di mercato avrebbe dovuto essere funzionale alla realizzazione della democrazia, producendo contemporaneamente ricchezza e democratica uguaglianza. Le forze del lavoro organizzato sarebbero dovute essere i pilastri della società e, mentre i sindacati i partiti e lo Stato democratico avrebbero dovuto regolare ogni tipo di conflitto tra le parti, lo Stato sociale avrebbe distribuito ricchezza e investito nei servizi per rendere effettiva l’uguaglianza. Si sarebbero avverate in questo modo libertà e distanza dal potere, garanzia di vita e possibilità di realizzazione personale e raggiungimento del bene comune. Forcina mostra , da un lato come gli orientamenti politici del capitalismo postindustriale non abbiano dato ragione a questa sequenza, anzi sembrano averla rovesciata nel raggiungimento del male-essere comune e nella crisi globale. Nel mondo in crisi i tratti decisivi del quadro politico postmoderno si sono configurati sempre più nelle logiche dell’eccezione, dell’anomalia e della recessione che va, appunto, “governata” con le varie messe in scena di governi sempre più apparentemente paritari, in realtà sempre più forti ed esigenti nei confronti dei cittadini, resi programmaticamente ubbidienti al duro comando del potere politico-economico, che a sua volta è diventato sempre più fiduciosamente certo della dissoluzione mediatica della realtà. Dall’altro lato analizza la profonda e innovativa radicalità delle analisi politiche delle filosofe del Novecento.
2014
9788898134106
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11587/420682
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