L’interrogativo cui voglio rispondere è il seguente: perché accade quel che sta accadendo nelle economie e nelle società contemporanee? Perché ci siamo cacciati in questa trappola? Perché le società più ricche della storia dell’umanità non riescono a superare gli scogli di una crisi economica che, al suo apparire, gli economisti avevano giudicato congiunturale e di breve periodo? La risposta a questi interrogativi ci rimbalza dai media in maniera ossessiva: ci sono paesi che in passato hanno sperperato ricchezza, non hanno amministrato bene, hanno speso più di quanto producevano e ora pagano il prezzo di questo. Ovviamente, non si vuole ignorare quel che è accaduto negli anni passati, specialmente in Italia, né sottovalutare il peso degli sprechi, delle occasioni perse o dell’incapacità del nostro ceto politico di governare situazioni complesse, che avrebbero comportato l’adozione di politiche economiche coraggiose e – probabilmente – impopolari. Interventi appropriati avrebbero consentito sia di definire un profilo di rientro dal deficit pubblico accumulato a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo; sia di lavorare ad un contesto atto a incoraggiare investimenti e a creare opportunità di lavoro per le giovani generazioni. Tuttavia, indipendentemente dai ritardi politici accumulati nell’ultimo ventennio dall’Italia, resta il fatto che ci sono paesi il cui debito pubblico è altrettanto rilevante (Inghilterra, Giappone, Belgio, ecc.) e che non sono colpiti dalla crisi nello stesso modo in cui accade all’Italia. Inoltre, è ormai chiaro che il modello di austerità varato dall’UE non solo non risolve i nostri problemi economici, ma li aggrava. Viviamo in una situazione in cui lo schermo ideologico, imposto dalla Germania e dai paesi del Nord Europa, all’UE è così spesso da non consentire di tener conto della realtà e delle esperienze che abbiamo avuto dal 2008. Si pensi, tanto per fare un esempio, ai problemi della nazione che è diventata paradigmatica della attuale crisi: la Grecia. Tutti gli analisti concordano nel fatto che 5 anni fa un intervento di 50 o 60 miliardi di euro avrebbe risolto il problema greco, che è stato determinato sia da fattori endogeni; sia - è bene ricordarlo - da inadeguate valutazioni dell’UE relativamente ai dati contabili forniti dai governi greci. Nel tempo il problema greco si è aggravato al punto che la quantità di ricchezza investita per risolverlo è diventata sempre più grande. Inoltre, la politica di austerità imposta alla Grecia ha impoverito un paese, mal governato per decenni, mettendo in discussione le sue possibilità di ripresa nel medio periodo. D’altra parte non sfugge il fatto che dopo 4 anni di politica di austerità imposta dal FMI, come unica ricetta per uscire dalla crisi, Christine Lagarde - Direttore FMI – abbia ammesso che forse si è esagerato con la politica di rigore e austerità, poiché essa invece di risanare i conti degli stati li ha via via aggravati, provocando seri e duraturi effetti recessivi. Sorge il dubbio, insomma, che qualcosa non funzioni come dovrebbe nelle società materialmente più ricche della storia dell’umanità, più dotate di conoscenze scientifiche, caratterizzate da fenomeni di integrazione internazionali imponenti (a cominciare dall’UE) e da meccanismi di coordinamento delle politiche economiche e finanziarie tali da non avere eguali nella storia.

Crisi finanziaria, economia reale e squilibri sociali: alla ricerca delle regole perdute

GIOIA, Vitantonio
2014-01-01

Abstract

L’interrogativo cui voglio rispondere è il seguente: perché accade quel che sta accadendo nelle economie e nelle società contemporanee? Perché ci siamo cacciati in questa trappola? Perché le società più ricche della storia dell’umanità non riescono a superare gli scogli di una crisi economica che, al suo apparire, gli economisti avevano giudicato congiunturale e di breve periodo? La risposta a questi interrogativi ci rimbalza dai media in maniera ossessiva: ci sono paesi che in passato hanno sperperato ricchezza, non hanno amministrato bene, hanno speso più di quanto producevano e ora pagano il prezzo di questo. Ovviamente, non si vuole ignorare quel che è accaduto negli anni passati, specialmente in Italia, né sottovalutare il peso degli sprechi, delle occasioni perse o dell’incapacità del nostro ceto politico di governare situazioni complesse, che avrebbero comportato l’adozione di politiche economiche coraggiose e – probabilmente – impopolari. Interventi appropriati avrebbero consentito sia di definire un profilo di rientro dal deficit pubblico accumulato a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo; sia di lavorare ad un contesto atto a incoraggiare investimenti e a creare opportunità di lavoro per le giovani generazioni. Tuttavia, indipendentemente dai ritardi politici accumulati nell’ultimo ventennio dall’Italia, resta il fatto che ci sono paesi il cui debito pubblico è altrettanto rilevante (Inghilterra, Giappone, Belgio, ecc.) e che non sono colpiti dalla crisi nello stesso modo in cui accade all’Italia. Inoltre, è ormai chiaro che il modello di austerità varato dall’UE non solo non risolve i nostri problemi economici, ma li aggrava. Viviamo in una situazione in cui lo schermo ideologico, imposto dalla Germania e dai paesi del Nord Europa, all’UE è così spesso da non consentire di tener conto della realtà e delle esperienze che abbiamo avuto dal 2008. Si pensi, tanto per fare un esempio, ai problemi della nazione che è diventata paradigmatica della attuale crisi: la Grecia. Tutti gli analisti concordano nel fatto che 5 anni fa un intervento di 50 o 60 miliardi di euro avrebbe risolto il problema greco, che è stato determinato sia da fattori endogeni; sia - è bene ricordarlo - da inadeguate valutazioni dell’UE relativamente ai dati contabili forniti dai governi greci. Nel tempo il problema greco si è aggravato al punto che la quantità di ricchezza investita per risolverlo è diventata sempre più grande. Inoltre, la politica di austerità imposta alla Grecia ha impoverito un paese, mal governato per decenni, mettendo in discussione le sue possibilità di ripresa nel medio periodo. D’altra parte non sfugge il fatto che dopo 4 anni di politica di austerità imposta dal FMI, come unica ricetta per uscire dalla crisi, Christine Lagarde - Direttore FMI – abbia ammesso che forse si è esagerato con la politica di rigore e austerità, poiché essa invece di risanare i conti degli stati li ha via via aggravati, provocando seri e duraturi effetti recessivi. Sorge il dubbio, insomma, che qualcosa non funzioni come dovrebbe nelle società materialmente più ricche della storia dell’umanità, più dotate di conoscenze scientifiche, caratterizzate da fenomeni di integrazione internazionali imponenti (a cominciare dall’UE) e da meccanismi di coordinamento delle politiche economiche e finanziarie tali da non avere eguali nella storia.
2014
9788882848736
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11587/402181
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