Da un sommario confronto tra i cardini epistemologici sottesi alle scienze giuridiche e alle scienze ecologiche emergono con evidenza le asimmetrie categoriali e definitorie che hanno impedito l’instaurazione di un dialogo corretto, non fondato su reciproci fraintendimenti, tra i due domini scientifici. Ciò che per il diritto è l’unico organismo dotato di vita giuridica, ossia l’uomo, per l’ecologia è solo uno dei numerosi tipi di organismi esistenti, accanto a quelli non umani; ciò che per il diritto è una comunità, ossia una collettività organizzata di persone, per l’ecologia è semplicemente una popolazione, mentre il concetto ecologico di comunità richiama la necessità della coesistenza, in un sistema vivente di livello superiore, di più popolazioni di specie biologiche differenti; se per il diritto l’ecosistema è semplicemente un «ambiente», ossia un “intorno” fisico che funge da scenario naturale in cui agiscono gli attori umani, per l’ecologia ogni ecosistema è un sistema di comunità che vive, si autoorganizza e si evolve unitariamente, di cui la popolazione umana è solo una componente, minoritaria ed in alcuni casi solo eventuale; se per il diritto il paesaggio e l’ecosistema inteso come «ambiente» sono porzioni di territorio sostanzialmente sovrapponibili, seppur rilevanti a diversi fini in base all’ordinamento giuridico, per l’ecologia il paesaggio è un sistema vivente gerarchicamente sovraordinato agli ecosistemi, et cetera. L’uomo, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità – ossia, in termini ecologici, come organismo e come popolazione – può sopravvivere solo a condizione che sopravvivano i livelli di aggregazione della vita ad esso superiori nella scala gerarchica, a partire dalle comunità (comprensive delle popolazioni non umane) e degli ecosistemi: un eventuale collasso di tali livelli biologici, infatti, determinerebbe inesorabilmente l’estinzione dei livelli inferiori in essi ricompresi, incluso l’uomo. Ne deriva che: (i) i sistemi ecologici sono ad esistenza indisponibile per l’uomo, sul piano delle leggi naturali, perché l’uomo non può distruggerli o danneggiarli senza contemporaneamente annichilire anche se stesso o degradare la sua qualità di vita; (ii) i sistemi ecologici sono ad appartenenza necessaria per l’uomo, sempre sul piano delle leggi naturali, per il rapporto di “parte” a “tutto” che intercorre tra l’organismo e i livelli superiori di organizzazione della vita. La prospettiva tratteggiata dall’ecologia costringe dunque il diritto a una rivisitazione delle proprie categorie di esistenza e appartenenza, rispetto alle relazioni tra uomo e natura. Le comunità, gli ecosistemi, i paesaggi, i biomi, la biosfera non possono agevolmente essere costruiti in termini di appartenenza alle popolazioni umane o a singoli individui, secondo lo schema del diritto soggettivo (proprietà o uso) su beni, in quanto lo schema dell’appartenenza risulta rovesciato dall’ecologia: è l’uomo ad appartenere ai sistemi viventi gerarchicamente sovraordinati, non il contrario. La stessa interdipendenza tra uomo e sistemi ecologici è difficilmente incanalabile all’interno degli schemi classici del contratto, sul piano fisiologico, e della responsabilità, sul piano patologico: l’interdipendenza tra parte e tutto, infatti, non è ecologicamente negoziabile, in quanto configura una coesistenza vitale necessaria e indisponibile, né l’aggressione alla sostenibilità della coesistenza tra parte (uomo) e tutto (sistema ecologico) è suscettibile di essere ristorata attraverso forme di compensazione postume, siano esse per equivalente o in forma specifica, almeno nei casi in cui l’intensità del vulnus superi la capacità del sistema ecologico di autorinnovarsi e perpetuarsi secondo gli schemi dell’ecologia del non-equilibrio. A fronte di questo scenario, tanto inedito quanto problematico, una strategia attualmente esplorata dai giuristi consiste nel rimeditare la dialettica soggetto/oggetto nelle relazioni tra uomo e natura. Un primo approccio, mantenendo ferma la concezione dei sistemi ecologici come oggetto di diritti soggettivi agiti da soggetti umani (individuali o collettivi), mira ad aggiornare il paradigma dell’oggettivazione riqualificando le risorse naturali come «beni comuni». Seguire un percorso di dialogo tra ecologia e diritto può, con riferimento ai beni comuni, consentire di evidenziare un rischio legato alla strategia di rioggettivazione giuridica che qualifica le risorse naturali come beni comuni, giacché tale strategia amplia la platea dei soggetti umani titolati di diritti sui beni (qualificati come) «comuni», ma non introduce guarentigie sufficienti di salvaguardia dei sistemi ecologici dal pericolo di collasso o di degradazione per sovrasfruttamento. Un secondo approccio, che parte da premesse generali non dissimili dal primo (quello relativo alla teoria dei beni comuni) ma se ne distacca per un’elaborazione delle medesime orientata in direzione autoritativa, emerge soprattutto in alcune indagini di diritto pubblico (costituzionale e amministrativo, ma anche penale). In questa impostazione, si mantiene pur sempre ferma la concezione dei sistemi ecologici come oggetto di situazioni giuridiche soggettive agite dai soggetti umani, ma si propone esplicitamente di sostituire alla categoria dei diritti soggettivi (di proprietà o uso) quella dei doveri inderogabili di solidarietà (di difesa e protezione), richiamando in apicibus la fonte rappresentata dall’art. 2 cost. Il modello diverrebbe quindi, per cosí dire, quello di una comunione (nel senso tecnico di contitolarità necessaria di situazioni giuridiche soggettive, ripartite in quote ideali, su cose comuni) di doveri, anziché di diritti; l’imposizione dei doveri di salvaguardia ecologica, tuttavia, per applicarsi ai privati, esigerebbe (secondo questa dottrina) un’espressa e specifica interpositio legislatoris, mentre opererebbe immediatamente ex art. 2 cost. solo in capo alle pubbliche amministrazioni. In questa visione si potrebbe, tuttavia, annidare un rischio: quello di una "iper-pubblicizzazione" dell’intero sistema delle relazioni tra uomo e sistemi ecologici (e non sembra casuale che il diritto dell’ambiente, almeno nell’esperienza italiana, sia oggi considerato per lo piú una sub-area del diritto amministrativo), il che potrebbe stridere con la necessità di coinvolgere in positivo (non solo in negativo) anche l’intera dimensione giusprivatistica nel ripensamento delle categorie che fondano le relazioni tra uomo e sistemi ecologici. Vi è infine un terzo approccio, estremamente radicale. Sebbene sia sottorappresentato nel dibattito tra i giuristi di diritto positivo in Italia, esso è molto dibattuto nella letteratura giuridica internazionale. Si tratta del tentativo di ribaltare completamente lo schema soggetto/oggetto, attraverso la proposta di riconoscere soggettività giuridica, capacità giuridica e diritti soggettivi azionabili anche sul piano processuale (attraverso lo schema della rappresentanza legale necessaria da parte di soggetti umani, di natura pubblica – ad esempio, pubblici ministeri, difensori civici o organi amministrativi – o privata – ad esempio, gli enti privati esponenziali delle collettività residenti o indigene –) ad entità biologiche non umane, in particolare ad ecosistemi complessi quali quelli fluviali o forestali. Questo movimento, che ha assunto suggestive denominazioni («Earth Jurisprudence» o «Wild Law»), ha guadagnato un certo grado di consenso in alcuni ordinamenti, conquistando dei riconoscimenti espressi sia nel testo di alcune Costituzioni (in particolare nelle esperienze costituzionali dei Paesi latino americani quali l’Ecuador), sia in alcune vicende amministrative e giudiziarie (in Paesi a forte presenza di comunità indigene e particolarmente avanzati sul piano del diritto ambientale come la Nuova Zelanda); in prospettiva, questo orientamento si propone di ripensare in radice l’attuale impostazione della teoria dei diritti di proprietà. Quest’ultimo orientamento, volto a personificare giuridicamente i sistemi ecologici, non convince (al di là della maggiore o minore coerenza teorica degli assunti di fondo da cui muove) per una ragione di fondo: entificare giuridicamente i livelli di organizzazione della vita che trascendono l’uomo, sul piano soggettivo, si risolve in una pura fictio iuris, dato che sono esclusivamente i soggetti umani a poter agire sul piano sostanziale e processuale in rappresentanza dei sistemi ecologici artificialmente eretti a persone giuridiche, assumendo per essi le relative decisioni. La finzione della personalità giuridica si giustifica quale soluzione a un potenziale conflitto tra singolo e gruppi all’interno del sistema delle relazioni umane; diviene invece del tutto inutile (ed insincera, se non ipocrita) rispetto al problema del rapporto tra soggetti di vita umani e non umani e, ancor piú, rispetto al rapporto tra un sistema vivente subordinato nella scala gerarchica e sistemi viventi di grado superiore, i quali sfuggono inesorabilmente, per le leggi dell’ecologia, al dominio/controllo del livello inferiore. Il contributo propone, nelle conclusioni, un approccio differente: quello dell'elaborazione di princípi "eco-giuridici", in grado di far dialogare su basi nuove le scienze giuridiche con le scienze ecologiche. Utilizzando la leva dell’interpretazione evolutiva dell’imponente messe di previsioni «ecologicamente orientate» ormai presenti nel diritto internazionale, comunitario e costituzionale comparato, è infatti possibile tentare di astrarne ed enuclearne princípi eco-giuridici, intesi come princípi caratterizzati dalla forza del diritto ma in grado di "recepire", nei loro contenuti precettivi sostanziali, alcune leggi scientifiche di funzionamento dei sistemi ecologici o, almeno, alcune acquisizioni consolidate della scienza ecologica. Questo approccio, seppur bisognoso di numerose raffinazioni che ne strutturino il metodo, è trasversale ai ‘mondi’ del diritto privato e del diritto pubblico, in quanto li coinvolge pienamente entrambi nella sfida di ripensare le categorie alla base delle relazioni giuridiche tra diritto e natura. L’integrazione dei princípi del diritto di fonte sovranazionale con l’ordinamento costituzionale (arg. ex artt. 11 e 117, comma 1, cost.) apre infatti la strada alla loro penetrazione non solo nella sfera del potere pubblico, ma anche nel tessuto dell’autonomia privata, in forza del metodo sistematico-assiologico propugnato dalla migliore dottrina civilistica. Su questi princípi, in via di emersione negli ordinamenti sovranazionali, la riflessione della dottrina è appena iniziata: essi costituiscono ancora un catalogo aperto, in fieri. Tra i princípi eco-giuridici emergenti possono citarsi, ad esempio: il «principio di non-regressione»; il «principio di resilienza»; il «principio di integrità ecologica»; il «principio di proporzionalità ecologica»; il «principio del restauro ecopaesaggistico»; il principio dello sviluppo sostenibile reinterpretato alla luce della teoria dei «planetary boundaries», affermatasi di recente nelle scienze ambientali.

Paradigmi giuridici di realizzazione del benessere umano in sistemi ecologici ad esistenza indisponibile e ad appartenenza necessaria

MONTEDURO, MASSIMO;Tommasi, Sara
2015-01-01

Abstract

Da un sommario confronto tra i cardini epistemologici sottesi alle scienze giuridiche e alle scienze ecologiche emergono con evidenza le asimmetrie categoriali e definitorie che hanno impedito l’instaurazione di un dialogo corretto, non fondato su reciproci fraintendimenti, tra i due domini scientifici. Ciò che per il diritto è l’unico organismo dotato di vita giuridica, ossia l’uomo, per l’ecologia è solo uno dei numerosi tipi di organismi esistenti, accanto a quelli non umani; ciò che per il diritto è una comunità, ossia una collettività organizzata di persone, per l’ecologia è semplicemente una popolazione, mentre il concetto ecologico di comunità richiama la necessità della coesistenza, in un sistema vivente di livello superiore, di più popolazioni di specie biologiche differenti; se per il diritto l’ecosistema è semplicemente un «ambiente», ossia un “intorno” fisico che funge da scenario naturale in cui agiscono gli attori umani, per l’ecologia ogni ecosistema è un sistema di comunità che vive, si autoorganizza e si evolve unitariamente, di cui la popolazione umana è solo una componente, minoritaria ed in alcuni casi solo eventuale; se per il diritto il paesaggio e l’ecosistema inteso come «ambiente» sono porzioni di territorio sostanzialmente sovrapponibili, seppur rilevanti a diversi fini in base all’ordinamento giuridico, per l’ecologia il paesaggio è un sistema vivente gerarchicamente sovraordinato agli ecosistemi, et cetera. L’uomo, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità – ossia, in termini ecologici, come organismo e come popolazione – può sopravvivere solo a condizione che sopravvivano i livelli di aggregazione della vita ad esso superiori nella scala gerarchica, a partire dalle comunità (comprensive delle popolazioni non umane) e degli ecosistemi: un eventuale collasso di tali livelli biologici, infatti, determinerebbe inesorabilmente l’estinzione dei livelli inferiori in essi ricompresi, incluso l’uomo. Ne deriva che: (i) i sistemi ecologici sono ad esistenza indisponibile per l’uomo, sul piano delle leggi naturali, perché l’uomo non può distruggerli o danneggiarli senza contemporaneamente annichilire anche se stesso o degradare la sua qualità di vita; (ii) i sistemi ecologici sono ad appartenenza necessaria per l’uomo, sempre sul piano delle leggi naturali, per il rapporto di “parte” a “tutto” che intercorre tra l’organismo e i livelli superiori di organizzazione della vita. La prospettiva tratteggiata dall’ecologia costringe dunque il diritto a una rivisitazione delle proprie categorie di esistenza e appartenenza, rispetto alle relazioni tra uomo e natura. Le comunità, gli ecosistemi, i paesaggi, i biomi, la biosfera non possono agevolmente essere costruiti in termini di appartenenza alle popolazioni umane o a singoli individui, secondo lo schema del diritto soggettivo (proprietà o uso) su beni, in quanto lo schema dell’appartenenza risulta rovesciato dall’ecologia: è l’uomo ad appartenere ai sistemi viventi gerarchicamente sovraordinati, non il contrario. La stessa interdipendenza tra uomo e sistemi ecologici è difficilmente incanalabile all’interno degli schemi classici del contratto, sul piano fisiologico, e della responsabilità, sul piano patologico: l’interdipendenza tra parte e tutto, infatti, non è ecologicamente negoziabile, in quanto configura una coesistenza vitale necessaria e indisponibile, né l’aggressione alla sostenibilità della coesistenza tra parte (uomo) e tutto (sistema ecologico) è suscettibile di essere ristorata attraverso forme di compensazione postume, siano esse per equivalente o in forma specifica, almeno nei casi in cui l’intensità del vulnus superi la capacità del sistema ecologico di autorinnovarsi e perpetuarsi secondo gli schemi dell’ecologia del non-equilibrio. A fronte di questo scenario, tanto inedito quanto problematico, una strategia attualmente esplorata dai giuristi consiste nel rimeditare la dialettica soggetto/oggetto nelle relazioni tra uomo e natura. Un primo approccio, mantenendo ferma la concezione dei sistemi ecologici come oggetto di diritti soggettivi agiti da soggetti umani (individuali o collettivi), mira ad aggiornare il paradigma dell’oggettivazione riqualificando le risorse naturali come «beni comuni». Seguire un percorso di dialogo tra ecologia e diritto può, con riferimento ai beni comuni, consentire di evidenziare un rischio legato alla strategia di rioggettivazione giuridica che qualifica le risorse naturali come beni comuni, giacché tale strategia amplia la platea dei soggetti umani titolati di diritti sui beni (qualificati come) «comuni», ma non introduce guarentigie sufficienti di salvaguardia dei sistemi ecologici dal pericolo di collasso o di degradazione per sovrasfruttamento. Un secondo approccio, che parte da premesse generali non dissimili dal primo (quello relativo alla teoria dei beni comuni) ma se ne distacca per un’elaborazione delle medesime orientata in direzione autoritativa, emerge soprattutto in alcune indagini di diritto pubblico (costituzionale e amministrativo, ma anche penale). In questa impostazione, si mantiene pur sempre ferma la concezione dei sistemi ecologici come oggetto di situazioni giuridiche soggettive agite dai soggetti umani, ma si propone esplicitamente di sostituire alla categoria dei diritti soggettivi (di proprietà o uso) quella dei doveri inderogabili di solidarietà (di difesa e protezione), richiamando in apicibus la fonte rappresentata dall’art. 2 cost. Il modello diverrebbe quindi, per cosí dire, quello di una comunione (nel senso tecnico di contitolarità necessaria di situazioni giuridiche soggettive, ripartite in quote ideali, su cose comuni) di doveri, anziché di diritti; l’imposizione dei doveri di salvaguardia ecologica, tuttavia, per applicarsi ai privati, esigerebbe (secondo questa dottrina) un’espressa e specifica interpositio legislatoris, mentre opererebbe immediatamente ex art. 2 cost. solo in capo alle pubbliche amministrazioni. In questa visione si potrebbe, tuttavia, annidare un rischio: quello di una "iper-pubblicizzazione" dell’intero sistema delle relazioni tra uomo e sistemi ecologici (e non sembra casuale che il diritto dell’ambiente, almeno nell’esperienza italiana, sia oggi considerato per lo piú una sub-area del diritto amministrativo), il che potrebbe stridere con la necessità di coinvolgere in positivo (non solo in negativo) anche l’intera dimensione giusprivatistica nel ripensamento delle categorie che fondano le relazioni tra uomo e sistemi ecologici. Vi è infine un terzo approccio, estremamente radicale. Sebbene sia sottorappresentato nel dibattito tra i giuristi di diritto positivo in Italia, esso è molto dibattuto nella letteratura giuridica internazionale. Si tratta del tentativo di ribaltare completamente lo schema soggetto/oggetto, attraverso la proposta di riconoscere soggettività giuridica, capacità giuridica e diritti soggettivi azionabili anche sul piano processuale (attraverso lo schema della rappresentanza legale necessaria da parte di soggetti umani, di natura pubblica – ad esempio, pubblici ministeri, difensori civici o organi amministrativi – o privata – ad esempio, gli enti privati esponenziali delle collettività residenti o indigene –) ad entità biologiche non umane, in particolare ad ecosistemi complessi quali quelli fluviali o forestali. Questo movimento, che ha assunto suggestive denominazioni («Earth Jurisprudence» o «Wild Law»), ha guadagnato un certo grado di consenso in alcuni ordinamenti, conquistando dei riconoscimenti espressi sia nel testo di alcune Costituzioni (in particolare nelle esperienze costituzionali dei Paesi latino americani quali l’Ecuador), sia in alcune vicende amministrative e giudiziarie (in Paesi a forte presenza di comunità indigene e particolarmente avanzati sul piano del diritto ambientale come la Nuova Zelanda); in prospettiva, questo orientamento si propone di ripensare in radice l’attuale impostazione della teoria dei diritti di proprietà. Quest’ultimo orientamento, volto a personificare giuridicamente i sistemi ecologici, non convince (al di là della maggiore o minore coerenza teorica degli assunti di fondo da cui muove) per una ragione di fondo: entificare giuridicamente i livelli di organizzazione della vita che trascendono l’uomo, sul piano soggettivo, si risolve in una pura fictio iuris, dato che sono esclusivamente i soggetti umani a poter agire sul piano sostanziale e processuale in rappresentanza dei sistemi ecologici artificialmente eretti a persone giuridiche, assumendo per essi le relative decisioni. La finzione della personalità giuridica si giustifica quale soluzione a un potenziale conflitto tra singolo e gruppi all’interno del sistema delle relazioni umane; diviene invece del tutto inutile (ed insincera, se non ipocrita) rispetto al problema del rapporto tra soggetti di vita umani e non umani e, ancor piú, rispetto al rapporto tra un sistema vivente subordinato nella scala gerarchica e sistemi viventi di grado superiore, i quali sfuggono inesorabilmente, per le leggi dell’ecologia, al dominio/controllo del livello inferiore. Il contributo propone, nelle conclusioni, un approccio differente: quello dell'elaborazione di princípi "eco-giuridici", in grado di far dialogare su basi nuove le scienze giuridiche con le scienze ecologiche. Utilizzando la leva dell’interpretazione evolutiva dell’imponente messe di previsioni «ecologicamente orientate» ormai presenti nel diritto internazionale, comunitario e costituzionale comparato, è infatti possibile tentare di astrarne ed enuclearne princípi eco-giuridici, intesi come princípi caratterizzati dalla forza del diritto ma in grado di "recepire", nei loro contenuti precettivi sostanziali, alcune leggi scientifiche di funzionamento dei sistemi ecologici o, almeno, alcune acquisizioni consolidate della scienza ecologica. Questo approccio, seppur bisognoso di numerose raffinazioni che ne strutturino il metodo, è trasversale ai ‘mondi’ del diritto privato e del diritto pubblico, in quanto li coinvolge pienamente entrambi nella sfida di ripensare le categorie alla base delle relazioni giuridiche tra diritto e natura. L’integrazione dei princípi del diritto di fonte sovranazionale con l’ordinamento costituzionale (arg. ex artt. 11 e 117, comma 1, cost.) apre infatti la strada alla loro penetrazione non solo nella sfera del potere pubblico, ma anche nel tessuto dell’autonomia privata, in forza del metodo sistematico-assiologico propugnato dalla migliore dottrina civilistica. Su questi princípi, in via di emersione negli ordinamenti sovranazionali, la riflessione della dottrina è appena iniziata: essi costituiscono ancora un catalogo aperto, in fieri. Tra i princípi eco-giuridici emergenti possono citarsi, ad esempio: il «principio di non-regressione»; il «principio di resilienza»; il «principio di integrità ecologica»; il «principio di proporzionalità ecologica»; il «principio del restauro ecopaesaggistico»; il principio dello sviluppo sostenibile reinterpretato alla luce della teoria dei «planetary boundaries», affermatasi di recente nelle scienze ambientali.
2015
978-88-495-2972-2
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