Il saggio distingue tra “codici” e “tipi di produzione segnica”, e fra estetica e poetica, per analizzare il modo in cui la tradizione musicale del jazz ha fatto un uso sistematico, nel corso della sua storia, di materiali musicali prodotti dall’estetica occidentale (concezioni armoniche, temi melodici, modelli di orchestrazione, etc.), reinterpretati però secondo approcci e prassi derivanti sia dal retaggio africano che da sincretismi prodottisi sul suolo degli Stati Uniti d’America, durante i secoli della schiavitù e poi nella lunga emarginazione sociale che vi fece seguito. Questa condizione dualistica della musica afroamericana viene esaminata e discussa nel peculiare periodo del jazz “tra le due guerre”, la cosiddetta Swing Era, analizzandone alcune produzioni musicali alla luce di certe peculiari ambiguità coscientemente perseguite, fra spunti esotici ripresi dalle parodie musicali occidentali e ribaltati di segno, strumenti musicali di tradizione europea utilizzati con tecniche non ortodosse, e la costante metafora del colore e delle sue sfumature usata da artisti come Duke Ellington sia per ritrarre la condizione sociale del nero e del mulatto, sia per sottolineare una concezione musicale “coloristica” di stampo post-impressionista.

Il colore dell'ambiguo nel jazz tra le due guerre

SALVATORE, Gianfranco
1980-01-01

Abstract

Il saggio distingue tra “codici” e “tipi di produzione segnica”, e fra estetica e poetica, per analizzare il modo in cui la tradizione musicale del jazz ha fatto un uso sistematico, nel corso della sua storia, di materiali musicali prodotti dall’estetica occidentale (concezioni armoniche, temi melodici, modelli di orchestrazione, etc.), reinterpretati però secondo approcci e prassi derivanti sia dal retaggio africano che da sincretismi prodottisi sul suolo degli Stati Uniti d’America, durante i secoli della schiavitù e poi nella lunga emarginazione sociale che vi fece seguito. Questa condizione dualistica della musica afroamericana viene esaminata e discussa nel peculiare periodo del jazz “tra le due guerre”, la cosiddetta Swing Era, analizzandone alcune produzioni musicali alla luce di certe peculiari ambiguità coscientemente perseguite, fra spunti esotici ripresi dalle parodie musicali occidentali e ribaltati di segno, strumenti musicali di tradizione europea utilizzati con tecniche non ortodosse, e la costante metafora del colore e delle sue sfumature usata da artisti come Duke Ellington sia per ritrarre la condizione sociale del nero e del mulatto, sia per sottolineare una concezione musicale “coloristica” di stampo post-impressionista.
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11587/374330
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact