Il legame filosofico e ideologico fra canto e supremazia della parola, che trova una sua continuità tra il pensiero greco e la civiltà cristiana europea, ha gettato un’ombra di sospetto, quando non di discredito, sulla musica strumentale. Il canto è idealmente rivolto verso il divino, svolge attraverso la parola una funzione non solo esplicita ma anche facilmente controllabile, e rappresenta miticamente un attributo degli angeli in quanto mediatori fra l’uomo e il dio cristiano. Fin dal Trecento, tuttavia, l’iconografia sembra smentire questa esclusività nelle figure degli angeli musicanti, alternative o complementari a quelle degli angeli cantori; né gli angeli si limitano a suonare gli strumenti a corda, accompagnatori privilegiati del canto, secondo l’antico primato della citarodia sull’auletica: essi appaiono dedicarsi anche a fragorosi strumenti a fiato e perfino a percussione. L’eccezione è tutelata dalla valenza metaforica che i Padri della Chiesa attribuivano alla materia organica incorruttibile, simbolo escatologico della resurrezione dei morti e della salvezza finale. Ogni strumento musicale è una metafora, e tutti assieme esprimono concordia umana e armonia divina. L’iconografia angelica si adegua a questa concettualizzazione anche graficamente, esprimendosi nella raffigurazione dei cori angelici solo attraverso la retta e il cerchio. Al contrario le figure diaboliche, ereditando il ruolo delle divinità pagane nel modo in cui veniva descritto dall’apologetica cristiana, esprimono il disordine, la confusione spaziale e spirituale, la dedizione all’inganno: il che troverebbe espressione nel fragore e nel chiasso, riconducendo musicalmente a una predilezione del demoniaco verso strumenti di sonorità haut anziché bas. Ma neppure questo trova verifica in una chiara polarizzazione tra suoni “angelici” e suoni “diabolici”. Le agiografie medievali e la narrativa folklorica ci raccontano una quantità di casi il cui il santo viene tentato dal demonio anche con suoni innocenti (vagiti di neonati, voci angelicate), e le personificazioni del diavolo tentano i credenti con strumenti “dolci”, perfino di uso liturgico. Nell’immaginario del Cristianesimo - sia quello ufficiale che quello popolare - la musica angelica e quella diabolica possono essere, fondamentalmente, la stessa musica, utilizzata però per finalità opposte. Quando ha a che fare con il campo del simbolico, l’antropologia musicale deve perciò tener conto della natura profonda del simbolo, che risiede nella sua attiva ambiguità: il che riconduce all’inevitabile polisemia del discorso musicale, irriducibile alle semplificazioni di categorie preconcette e di facili polarizzazioni simboliche (apollineo/dionisiaco, angelico/diabolico, auletico/citarodico, etc.).

Gli angeli musicanti e gli strumenti del diavolo

SALVATORE, Gianfranco
1997-01-01

Abstract

Il legame filosofico e ideologico fra canto e supremazia della parola, che trova una sua continuità tra il pensiero greco e la civiltà cristiana europea, ha gettato un’ombra di sospetto, quando non di discredito, sulla musica strumentale. Il canto è idealmente rivolto verso il divino, svolge attraverso la parola una funzione non solo esplicita ma anche facilmente controllabile, e rappresenta miticamente un attributo degli angeli in quanto mediatori fra l’uomo e il dio cristiano. Fin dal Trecento, tuttavia, l’iconografia sembra smentire questa esclusività nelle figure degli angeli musicanti, alternative o complementari a quelle degli angeli cantori; né gli angeli si limitano a suonare gli strumenti a corda, accompagnatori privilegiati del canto, secondo l’antico primato della citarodia sull’auletica: essi appaiono dedicarsi anche a fragorosi strumenti a fiato e perfino a percussione. L’eccezione è tutelata dalla valenza metaforica che i Padri della Chiesa attribuivano alla materia organica incorruttibile, simbolo escatologico della resurrezione dei morti e della salvezza finale. Ogni strumento musicale è una metafora, e tutti assieme esprimono concordia umana e armonia divina. L’iconografia angelica si adegua a questa concettualizzazione anche graficamente, esprimendosi nella raffigurazione dei cori angelici solo attraverso la retta e il cerchio. Al contrario le figure diaboliche, ereditando il ruolo delle divinità pagane nel modo in cui veniva descritto dall’apologetica cristiana, esprimono il disordine, la confusione spaziale e spirituale, la dedizione all’inganno: il che troverebbe espressione nel fragore e nel chiasso, riconducendo musicalmente a una predilezione del demoniaco verso strumenti di sonorità haut anziché bas. Ma neppure questo trova verifica in una chiara polarizzazione tra suoni “angelici” e suoni “diabolici”. Le agiografie medievali e la narrativa folklorica ci raccontano una quantità di casi il cui il santo viene tentato dal demonio anche con suoni innocenti (vagiti di neonati, voci angelicate), e le personificazioni del diavolo tentano i credenti con strumenti “dolci”, perfino di uso liturgico. Nell’immaginario del Cristianesimo - sia quello ufficiale che quello popolare - la musica angelica e quella diabolica possono essere, fondamentalmente, la stessa musica, utilizzata però per finalità opposte. Quando ha a che fare con il campo del simbolico, l’antropologia musicale deve perciò tener conto della natura profonda del simbolo, che risiede nella sua attiva ambiguità: il che riconduce all’inevitabile polisemia del discorso musicale, irriducibile alle semplificazioni di categorie preconcette e di facili polarizzazioni simboliche (apollineo/dionisiaco, angelico/diabolico, auletico/citarodico, etc.).
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