Letterati e studiosi di storia politica e sociale del Rinascimento, «romanisti» ed eruditi, che tra la fine dell’Ottocento e l’intero arco del Novecento hanno fermato la loro attenzione su Pasquino e le pasquinate, hanno di volta in volta esaltato «la voce della protesta popolare contro la corruzione e il malgoverno della curia», «il genuino e fresco spirito satirico italico», «il gusto irridente della beffa e del sarcasmo» nelle anonime composizioni poetiche appese fin dagli inizi del secolo XVI alla mutila statua romana. In realtà queste definizioni appaiono viziate da un duplice errore, di prospettiva e di metodo: da un lato per la non adeguata considerazione del fatto che questa supposta «opposizione della piazza» alla curia veniva tollerata dall’autorità ecclesiastica, che facilmente avrebbe potuto stroncarla,, al punto che in una pasquinata latina del 1518 si esaltava la massima libertà esistente a Roma, dove chiunque poteva scrivere ciò che gli piaceva; dall’altro per l’esiguità della documentazione disponibile, che offriva dunque un quadro parziale e scarsamente attendibile se non altro delle dimensioni e delle fasi evolutive di quel fenomeno. Basti rilevare che solo un centinaio o poco piú del 735 pasquinate ora pubblicate aveva ricevuto moderne cure editoriali. Qui si presenta il risultato di una vasta ricognizione critica che oltre a produrre in veste moderna e accurata i testi cinquecenteschi volgari di Pasquino cronologicamente ordinati, distingue, nell’ambito plurisecolare del genere, le prime e piú incerte fasi ancora legate all’accademismo e alla pedanteria dell’ambiente universitario – dalle fasi piú mature, quando, s partire dagli anni di Leone X, con l’ingresso in campo di letterati di piú robusta statura (si pensi ad Antonio Lelio, Pietro Aretino, forse Niccolò Franco), esso si sviluppa in una ricca serie di moduli satirici, anche discordanti fra loro per coscienza e compattezza stilistica. Il prodotto di questo lungo impegno di lavoro – reso arduo dalla precarietà delle testimonianze antiche e dalla difficoltà di circoscrivere con credibile approssimazione l’attività pasquinesca romana, fondata sull’affissione al torso marmoreo, dalla vastissima produzione letteraria e paraletteraria, libellistica e satirica, che sulle orme della pasquinata si sviluppò con forme spesso diverse in Italia e in Europa –, offre un profilo per molti versi nuovo di quella letteratura.. Un vasto corredo di note, di indici, di riferimenti bibliografici, ne consente la migliore utilizzazione.
Pasquinate romane del Cinquecento
MARUCCI, Valerio;MARZO, Antonio;ROMANO, Angelo;
1983-01-01
Abstract
Letterati e studiosi di storia politica e sociale del Rinascimento, «romanisti» ed eruditi, che tra la fine dell’Ottocento e l’intero arco del Novecento hanno fermato la loro attenzione su Pasquino e le pasquinate, hanno di volta in volta esaltato «la voce della protesta popolare contro la corruzione e il malgoverno della curia», «il genuino e fresco spirito satirico italico», «il gusto irridente della beffa e del sarcasmo» nelle anonime composizioni poetiche appese fin dagli inizi del secolo XVI alla mutila statua romana. In realtà queste definizioni appaiono viziate da un duplice errore, di prospettiva e di metodo: da un lato per la non adeguata considerazione del fatto che questa supposta «opposizione della piazza» alla curia veniva tollerata dall’autorità ecclesiastica, che facilmente avrebbe potuto stroncarla,, al punto che in una pasquinata latina del 1518 si esaltava la massima libertà esistente a Roma, dove chiunque poteva scrivere ciò che gli piaceva; dall’altro per l’esiguità della documentazione disponibile, che offriva dunque un quadro parziale e scarsamente attendibile se non altro delle dimensioni e delle fasi evolutive di quel fenomeno. Basti rilevare che solo un centinaio o poco piú del 735 pasquinate ora pubblicate aveva ricevuto moderne cure editoriali. Qui si presenta il risultato di una vasta ricognizione critica che oltre a produrre in veste moderna e accurata i testi cinquecenteschi volgari di Pasquino cronologicamente ordinati, distingue, nell’ambito plurisecolare del genere, le prime e piú incerte fasi ancora legate all’accademismo e alla pedanteria dell’ambiente universitario – dalle fasi piú mature, quando, s partire dagli anni di Leone X, con l’ingresso in campo di letterati di piú robusta statura (si pensi ad Antonio Lelio, Pietro Aretino, forse Niccolò Franco), esso si sviluppa in una ricca serie di moduli satirici, anche discordanti fra loro per coscienza e compattezza stilistica. Il prodotto di questo lungo impegno di lavoro – reso arduo dalla precarietà delle testimonianze antiche e dalla difficoltà di circoscrivere con credibile approssimazione l’attività pasquinesca romana, fondata sull’affissione al torso marmoreo, dalla vastissima produzione letteraria e paraletteraria, libellistica e satirica, che sulle orme della pasquinata si sviluppò con forme spesso diverse in Italia e in Europa –, offre un profilo per molti versi nuovo di quella letteratura.. Un vasto corredo di note, di indici, di riferimenti bibliografici, ne consente la migliore utilizzazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.