Lo sfruttamento commerciale che caratterizzava i rapporti tra le città d’Europa con la provincia di Terra d’Otranto può essere riscontrato sin dai tempi che precedettero l’affermazione degli Angioini. Favorita dalla posizione geografica e dalla rilevante presenza di oliveti, l’antica provincia, nei secoli successivi, divenne il centro dell’economia mondiale capace di attirare gli interessi economici dei grandi gruppi mercantili stranieri. Nella seconda metà del Settecento il porto di Gallipoli rappresentava il principale centro di imbarco di olio della provincia di Terra d’Otranto. Oltre il 70% dell’olio della provincia veniva smerciato attraverso questa città ionica; la maggior parte di esso era inviata all’estero, nel Mar del Nord e nel Mar Baltico, con valori che non costituirono mai meno del 70% del totale esportato, raggiungendo punte che spesso si aggiravano intorno all’85-95%. L’olio prodotto nella zona del Capo di Leuca e nell’hinterland di Gallipoli, destinato attraverso il porto ionico alle principali città del nord Europa (Londra, Amsterdam, Amburgo e Rotterdam), era indispensabile per gli usi industriali di questi paesi che si avviavano verso la prima rivoluzione industriale. Del resto tutto l’olio meridionale era utilizzato in questi luoghi come lubrificante nei processi di filatura, pettinatura e cardatura o era impiegato dalle manifatture francesi come composto necessario, insieme alla soda, per la produzione del sapone. L’organizzazione commerciale di Gallipoli era quasi completamente dipendente dal sistema mercantile ed armatoriale straniero, il quale ogni anno dava luogo ad una cospicua presenza di bastimenti soprattutto stranieri dediti al commercio internazionale. Tale ruolo subalterno di Gallipoli al mercato estero poneva la provincia di Terra d’Otranto in una situazione del tutto particolare in quanto, a differenza della Terra di Bari, esso non consentiva la liberazione di forze autonome e capaci di garantire una maggiore e più vivace intraprendenza economica ed un comportamento imprenditoriale di tipo moderno. Il monopolio esercitato nell’ambito dell’attività agricola e nella distribuzione ad opera di un ristretto nucleo di armatori e di mercanti rendeva particolarmente dura la condizione subalterna della campagna meridionale e del sistema socio-economico della città di Gallipoli, ma tale limite all’autonomia produttiva e commerciale non può essere identificato in un rapporto di natura coloniale tra la capitale del Regno di Napoli o le città d’Europa e la provincia di Terra d’Otranto. Alla presenza di navi “vacanti” dirette nel porto ionico per compiere l’incetta dei prodotti agricoli, soprattutto olio, faceva riscontro una cospicua presenza di navi pronte a smerciare vari prodotti, in particolar modo cerchi di ferro indispensabili per la fabbricazione delle botti. In questo contesto la partecipazione della città di Gallipoli ai traffici regnicoli e internazionali innescò, nella seconda metà del XVIII secolo, una serie di interessi economici in funzione delle richieste di approvvigionamento della pregiata derrata prodotta nell’estrema parte meridionale della provincia di Terra d’Otranto. In particolare, a partire dagli anni Sessanta, le istituzioni annonarie napoletane tentarono in più occasioni di bloccare, con proibizioni o inasprimenti tariffari, l’espansione dei traffici internazionali con lo scopo di convogliare la produzione olearia regnicola verso i depositi della città. Il motivo di tali provvedimenti adottati dal governo scaturiva dalla paura di non poter garantire rifornimenti e scorte olearie sufficienti per far fronte ai problemi di sussistenza della popolazione; forte era infatti la preoccupazione per l’eccessiva rarefazione della derrata sul mercato interno, dovuta non solo alla crescente domanda per il consumo a seguito dell’aumento demografico ma soprattutto alle crisi produttive. La decisione più drastica fu presa il 13 dicembre 1771, quando furono proibite per due anni tutte le esportazioni di olio dai porti del Regno di Napoli. La presenza nella zona del caricamento del porto di sole quattro Regie Pile provocò dei rallentamenti che colsero i capitani del tutto impreparati ad affrontare una lunga permanenza nella città ionica in attesa del loro turno per lo stivamento delle botti. Il timore di dover aspettare anche diversi mesi per accedere al caricatojo spinse i capitani a presentare, in via cautelativa, istanze di protesta davanti ai Giudici à Contratti contro i capostivatori per tutti i danni che avrebbero potuto subire qualora fosse stato disposto il blocco dei flussi oleari per l’estero. Le lamentele denunciate davanti ai notai erano rivolte contro il provvedimento emanato dal sovrano, per mezzo del quale la Regia Dogana diede la priorità alle operazioni di imbarco dei bastimenti napoletani, delegati al trasporto di olio per l’annona di Napoli.

Rapporti commerciali tra Gallipoli ed i principali centri portuali italiani e dell’Europa del Nord nella seconda metà del XVIII secolo

BARBAGALLO, Salvatore
2011-01-01

Abstract

Lo sfruttamento commerciale che caratterizzava i rapporti tra le città d’Europa con la provincia di Terra d’Otranto può essere riscontrato sin dai tempi che precedettero l’affermazione degli Angioini. Favorita dalla posizione geografica e dalla rilevante presenza di oliveti, l’antica provincia, nei secoli successivi, divenne il centro dell’economia mondiale capace di attirare gli interessi economici dei grandi gruppi mercantili stranieri. Nella seconda metà del Settecento il porto di Gallipoli rappresentava il principale centro di imbarco di olio della provincia di Terra d’Otranto. Oltre il 70% dell’olio della provincia veniva smerciato attraverso questa città ionica; la maggior parte di esso era inviata all’estero, nel Mar del Nord e nel Mar Baltico, con valori che non costituirono mai meno del 70% del totale esportato, raggiungendo punte che spesso si aggiravano intorno all’85-95%. L’olio prodotto nella zona del Capo di Leuca e nell’hinterland di Gallipoli, destinato attraverso il porto ionico alle principali città del nord Europa (Londra, Amsterdam, Amburgo e Rotterdam), era indispensabile per gli usi industriali di questi paesi che si avviavano verso la prima rivoluzione industriale. Del resto tutto l’olio meridionale era utilizzato in questi luoghi come lubrificante nei processi di filatura, pettinatura e cardatura o era impiegato dalle manifatture francesi come composto necessario, insieme alla soda, per la produzione del sapone. L’organizzazione commerciale di Gallipoli era quasi completamente dipendente dal sistema mercantile ed armatoriale straniero, il quale ogni anno dava luogo ad una cospicua presenza di bastimenti soprattutto stranieri dediti al commercio internazionale. Tale ruolo subalterno di Gallipoli al mercato estero poneva la provincia di Terra d’Otranto in una situazione del tutto particolare in quanto, a differenza della Terra di Bari, esso non consentiva la liberazione di forze autonome e capaci di garantire una maggiore e più vivace intraprendenza economica ed un comportamento imprenditoriale di tipo moderno. Il monopolio esercitato nell’ambito dell’attività agricola e nella distribuzione ad opera di un ristretto nucleo di armatori e di mercanti rendeva particolarmente dura la condizione subalterna della campagna meridionale e del sistema socio-economico della città di Gallipoli, ma tale limite all’autonomia produttiva e commerciale non può essere identificato in un rapporto di natura coloniale tra la capitale del Regno di Napoli o le città d’Europa e la provincia di Terra d’Otranto. Alla presenza di navi “vacanti” dirette nel porto ionico per compiere l’incetta dei prodotti agricoli, soprattutto olio, faceva riscontro una cospicua presenza di navi pronte a smerciare vari prodotti, in particolar modo cerchi di ferro indispensabili per la fabbricazione delle botti. In questo contesto la partecipazione della città di Gallipoli ai traffici regnicoli e internazionali innescò, nella seconda metà del XVIII secolo, una serie di interessi economici in funzione delle richieste di approvvigionamento della pregiata derrata prodotta nell’estrema parte meridionale della provincia di Terra d’Otranto. In particolare, a partire dagli anni Sessanta, le istituzioni annonarie napoletane tentarono in più occasioni di bloccare, con proibizioni o inasprimenti tariffari, l’espansione dei traffici internazionali con lo scopo di convogliare la produzione olearia regnicola verso i depositi della città. Il motivo di tali provvedimenti adottati dal governo scaturiva dalla paura di non poter garantire rifornimenti e scorte olearie sufficienti per far fronte ai problemi di sussistenza della popolazione; forte era infatti la preoccupazione per l’eccessiva rarefazione della derrata sul mercato interno, dovuta non solo alla crescente domanda per il consumo a seguito dell’aumento demografico ma soprattutto alle crisi produttive. La decisione più drastica fu presa il 13 dicembre 1771, quando furono proibite per due anni tutte le esportazioni di olio dai porti del Regno di Napoli. La presenza nella zona del caricamento del porto di sole quattro Regie Pile provocò dei rallentamenti che colsero i capitani del tutto impreparati ad affrontare una lunga permanenza nella città ionica in attesa del loro turno per lo stivamento delle botti. Il timore di dover aspettare anche diversi mesi per accedere al caricatojo spinse i capitani a presentare, in via cautelativa, istanze di protesta davanti ai Giudici à Contratti contro i capostivatori per tutti i danni che avrebbero potuto subire qualora fosse stato disposto il blocco dei flussi oleari per l’estero. Le lamentele denunciate davanti ai notai erano rivolte contro il provvedimento emanato dal sovrano, per mezzo del quale la Regia Dogana diede la priorità alle operazioni di imbarco dei bastimenti napoletani, delegati al trasporto di olio per l’annona di Napoli.
2011
9788880869382
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