Descrivere e praticare la pluralità contraddittoria del reale, vuol dire anche scoprire il fascino ambiguo della prigione, luogo emblematico di affollati silenzi da cui spesso nascono, macerati e tumultuosi, i linguaggi della ragione della pluralità, giacché, in ul- tima analisi, la prigione mette in scena la tragedia della parola trasformata in chiacchiera dal terrore monologico che ve la rinchiu- de: eppure proprio da tale condizione di orrore la letteratura parte per scavare quelle gallerie e quelle sostituzioni che portano, come accade a Dantès, verso il tesoro plurale del parlare insieme, del dialogo come forma della conoscenza e della scienza, al di là della razionalità classica. Nella narrativa di Raffaele Nigro possiamo ritrovare, a mio avviso, non solo situazioni narrative nelle quali ricorrono tematicamente carceri e prigioni, ma anche più scaltrite ed intriganti combinazioni nelle quali, piuttosto che nella forma della prigione, ci imbattiamo nella prigione delle forme, ovvero nella consapevolezza di un torpore comunicativo che rende inservibili poetiche e strategie narrative e reclama nuovi soggetti e nuove ipotesi di scrittura. L’occidentalismo imperfetto, concetto caro a Nigro, avverte la sua condizione “debole” ed aiuta a comprendere come il mondo soffra di una sorta di Alzheimer collettivo che spinge a vivere alla giornata, «senza prospettive e senza ricordi». I due personaggi del romanzo ( Eustachio e El Houssi) di differente religione ma amici ,sono stati sequestrati al confine tra Algeria e Tunisia durante una campagna di scavi da apparenti terroristi e la condizione carceraria consente di liberare le ragioni differenti dei due, le loro culture diverse: il musulmano, nemico del fanatismo delle scuole coraniche, guarda con passione alla consonanza tra le culture dell’Europa e del Maghreb e rammenta che, prima delle crociate e degli scontri cruenti, vi fu «una profonda unità politica e culturale in tutto il Mediterraneo». Nigro nelle pagine conclusive di Malvarosa, quelle che celebrano l’avvenuta e tardiva accettazione, da parte di Eustachio, della sua maturità di uomo e di padre, non manca di segnalare la possibile consistenza impalpabile di sogno di quella prigione maghrebina, ma è semplice astuzia di narratore quel voler giocare a rimpiattino con gli incubi claustrofobici dei suoi lettori e con le angosce nascoste di un costruttore di storie. Un carcere, tuttavia, può anche essere rappresentato da altre situa- zioni, in apparenza meno dure: ad esempio, un doppio capolinea oppure una idea eccessivamente “fisica” delle ossa di un santo trasmigrante e orientale d’origine, come San Nicola, circostanze che possiamo verificare in due storie di viaggi pubblicate da Nigro nel 2002 nelle romane Edizioni della Cometa. Un carcere, tuttavia, può anche essere rappresentato da altre situa- zioni, in apparenza meno dure: ad esempio, un doppio capolinea oppure una idea eccessivamente “fisica” delle ossa di un santo trasmigrante e orientale d’origine, come San Nicola, circostanze che l’articolo si sforza di verificare in due storie di viaggi pubblicate da Nigro nel 2002 nelle romane Edizioni della Cometa.

Forma del carcere e prigione delle forme nella recente produzione di Raffaele Nigro

CATALANO, ETTORE
2009-01-01

Abstract

Descrivere e praticare la pluralità contraddittoria del reale, vuol dire anche scoprire il fascino ambiguo della prigione, luogo emblematico di affollati silenzi da cui spesso nascono, macerati e tumultuosi, i linguaggi della ragione della pluralità, giacché, in ul- tima analisi, la prigione mette in scena la tragedia della parola trasformata in chiacchiera dal terrore monologico che ve la rinchiu- de: eppure proprio da tale condizione di orrore la letteratura parte per scavare quelle gallerie e quelle sostituzioni che portano, come accade a Dantès, verso il tesoro plurale del parlare insieme, del dialogo come forma della conoscenza e della scienza, al di là della razionalità classica. Nella narrativa di Raffaele Nigro possiamo ritrovare, a mio avviso, non solo situazioni narrative nelle quali ricorrono tematicamente carceri e prigioni, ma anche più scaltrite ed intriganti combinazioni nelle quali, piuttosto che nella forma della prigione, ci imbattiamo nella prigione delle forme, ovvero nella consapevolezza di un torpore comunicativo che rende inservibili poetiche e strategie narrative e reclama nuovi soggetti e nuove ipotesi di scrittura. L’occidentalismo imperfetto, concetto caro a Nigro, avverte la sua condizione “debole” ed aiuta a comprendere come il mondo soffra di una sorta di Alzheimer collettivo che spinge a vivere alla giornata, «senza prospettive e senza ricordi». I due personaggi del romanzo ( Eustachio e El Houssi) di differente religione ma amici ,sono stati sequestrati al confine tra Algeria e Tunisia durante una campagna di scavi da apparenti terroristi e la condizione carceraria consente di liberare le ragioni differenti dei due, le loro culture diverse: il musulmano, nemico del fanatismo delle scuole coraniche, guarda con passione alla consonanza tra le culture dell’Europa e del Maghreb e rammenta che, prima delle crociate e degli scontri cruenti, vi fu «una profonda unità politica e culturale in tutto il Mediterraneo». Nigro nelle pagine conclusive di Malvarosa, quelle che celebrano l’avvenuta e tardiva accettazione, da parte di Eustachio, della sua maturità di uomo e di padre, non manca di segnalare la possibile consistenza impalpabile di sogno di quella prigione maghrebina, ma è semplice astuzia di narratore quel voler giocare a rimpiattino con gli incubi claustrofobici dei suoi lettori e con le angosce nascoste di un costruttore di storie. Un carcere, tuttavia, può anche essere rappresentato da altre situa- zioni, in apparenza meno dure: ad esempio, un doppio capolinea oppure una idea eccessivamente “fisica” delle ossa di un santo trasmigrante e orientale d’origine, come San Nicola, circostanze che possiamo verificare in due storie di viaggi pubblicate da Nigro nel 2002 nelle romane Edizioni della Cometa. Un carcere, tuttavia, può anche essere rappresentato da altre situa- zioni, in apparenza meno dure: ad esempio, un doppio capolinea oppure una idea eccessivamente “fisica” delle ossa di un santo trasmigrante e orientale d’origine, come San Nicola, circostanze che l’articolo si sforza di verificare in due storie di viaggi pubblicate da Nigro nel 2002 nelle romane Edizioni della Cometa.
2009
9788877965448
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