Genere, o sottogenere, letterario, o paraletterario, la pasquinata, da sempre, è considerata il simbolo della ribellione e della contestazione, lo strumento attraverso il quale si sono espresse la critica e la satira nei confronti delle figure e degli aspetti piú rappresentativi della socie-tà. All’inizio, a partire cioè dal 1501, si trattò di componimenti ano-nimi, per lo piú di studenti e professori dello Studio romano, affissi al-la statua di Pasquino al termine della processione per la festa di s. Marco, il 25 aprile, e in qualche misura raccolte in stampe popolari dell’epoca. Questa fase politicamente addomesticata e letterariamente aulicizzante, ancorché punteggiata da significative espressioni di mor-dacità, si protrasse fino al 1521, cioè fino alla morte di papa Leone X, quando con una brusca virata il registro si impostò definitivamente su una aggressiva maldicenza. Artefice principale della trasformazione satirica di Pasquino fu Pietro Aretino, già presente e attivo in Roma fin dal 1517. La solida reputazione di maldicente da lui nel frattempo acquisita e variamente attestata gli valse, in occasione del conclave per l’elezione del nuovo pontefice, il coinvolgimento nel comitato e-lettorale del cardinale Giulio de’ Medici con il ruolo del guastatore, di colui cioè che doveva distruggere la concorrenza a colpi di maglio verbale. Pertanto la pasquinata gli si offrí quale strumento congeniale per sbaragliare gli avversari attraverso la divulgazione quanto mai ra-pida e ampia delle accuse piú infamanti. L’operazione fu compiuta con una serie di testi – non molti in verità – attraverso i quali riuscì nell’impresa di identificarsi con Pasquino, o almeno con la sua voce piú maligna, sviluppando in séguito tale rapporto sia sul piano perso-nale, per accreditare, anzi per consacrare la propria funzione di arbitro del costume sociale e della morale pubblica, sia su quello letterario, per elaborare una poetica decisamente antiumanistica e anticlassicisti-ca. Pasquino, dunque, fu per Aretino colui che diede l’impronta al suo carattere e fu sempre presente nella sua vita e nelle sue opere. Non so-lo gli scritti letterari successivi ne evocano spesso il nome e sono pieni di riferimenti al suo spirito satirico, ma certamente l’eredità piú im-portante e feconda della statua di Parione deve essere individuata in quell’adesione al naturale compiutamente illustrata nella famosa lette-ra-manifesto a Ludovico Dolce del 25 giugno 1537, nella quale, dopo avere esortato il destinatario ad andare «per le vie che al suo studio mostra la natura», afferma «che la poesia è un ghiribizzo de la natura ne le sue allegrezze, il qual si sta nel furor proprio». Il serrato confron-to con la realtà, che infatti caratterizza l’intera esperienza pasquinesca, favorisce e sostiene il radicamento nella coscienza letteraria di Areti-no di un indefettibile principio di verità, al quale la scrittura si deve ri-gorosamente attenere, nonché l’elaborazione di una conseguente poe-tica antiretorica, nettamente contrapposta al classicismo imperante, ingessato in canoni che producono una letteratura ripetitiva e imitativa di formule ormai prive di significato, astratta e platonizzante. Sicché il dato rilevante è il netto rifiuto dei modelli, intesi come invalicabile formulario poetico, e l’irrisione di «coloro che rubano le paroline af-famate; perché è gran differenzia da gli imitatori a i rubatori». Cosí pure nel grande e variegato libro delle Lettere, Aretino-Pasquino mo-stra di non abbandonare mai i panni del fiero araldo della verità, che spavaldamente spezza le catene del conformismo e, pagando anche al-ti prezzi personali, osa smascherare l’ipocrisia, la falsità e i vizi dei si-gnori, mettendone scommaticamente a nudo la meschinità degli intri-ghi e dei conflitti, in nulla diversi da quelli in cui si dibattono servito-ri, ruffiani, mercanti e ciurmatori.

Contro l'ortodossia: da Pasquino a Aretino

MARZO, Antonio
2007-01-01

Abstract

Genere, o sottogenere, letterario, o paraletterario, la pasquinata, da sempre, è considerata il simbolo della ribellione e della contestazione, lo strumento attraverso il quale si sono espresse la critica e la satira nei confronti delle figure e degli aspetti piú rappresentativi della socie-tà. All’inizio, a partire cioè dal 1501, si trattò di componimenti ano-nimi, per lo piú di studenti e professori dello Studio romano, affissi al-la statua di Pasquino al termine della processione per la festa di s. Marco, il 25 aprile, e in qualche misura raccolte in stampe popolari dell’epoca. Questa fase politicamente addomesticata e letterariamente aulicizzante, ancorché punteggiata da significative espressioni di mor-dacità, si protrasse fino al 1521, cioè fino alla morte di papa Leone X, quando con una brusca virata il registro si impostò definitivamente su una aggressiva maldicenza. Artefice principale della trasformazione satirica di Pasquino fu Pietro Aretino, già presente e attivo in Roma fin dal 1517. La solida reputazione di maldicente da lui nel frattempo acquisita e variamente attestata gli valse, in occasione del conclave per l’elezione del nuovo pontefice, il coinvolgimento nel comitato e-lettorale del cardinale Giulio de’ Medici con il ruolo del guastatore, di colui cioè che doveva distruggere la concorrenza a colpi di maglio verbale. Pertanto la pasquinata gli si offrí quale strumento congeniale per sbaragliare gli avversari attraverso la divulgazione quanto mai ra-pida e ampia delle accuse piú infamanti. L’operazione fu compiuta con una serie di testi – non molti in verità – attraverso i quali riuscì nell’impresa di identificarsi con Pasquino, o almeno con la sua voce piú maligna, sviluppando in séguito tale rapporto sia sul piano perso-nale, per accreditare, anzi per consacrare la propria funzione di arbitro del costume sociale e della morale pubblica, sia su quello letterario, per elaborare una poetica decisamente antiumanistica e anticlassicisti-ca. Pasquino, dunque, fu per Aretino colui che diede l’impronta al suo carattere e fu sempre presente nella sua vita e nelle sue opere. Non so-lo gli scritti letterari successivi ne evocano spesso il nome e sono pieni di riferimenti al suo spirito satirico, ma certamente l’eredità piú im-portante e feconda della statua di Parione deve essere individuata in quell’adesione al naturale compiutamente illustrata nella famosa lette-ra-manifesto a Ludovico Dolce del 25 giugno 1537, nella quale, dopo avere esortato il destinatario ad andare «per le vie che al suo studio mostra la natura», afferma «che la poesia è un ghiribizzo de la natura ne le sue allegrezze, il qual si sta nel furor proprio». Il serrato confron-to con la realtà, che infatti caratterizza l’intera esperienza pasquinesca, favorisce e sostiene il radicamento nella coscienza letteraria di Areti-no di un indefettibile principio di verità, al quale la scrittura si deve ri-gorosamente attenere, nonché l’elaborazione di una conseguente poe-tica antiretorica, nettamente contrapposta al classicismo imperante, ingessato in canoni che producono una letteratura ripetitiva e imitativa di formule ormai prive di significato, astratta e platonizzante. Sicché il dato rilevante è il netto rifiuto dei modelli, intesi come invalicabile formulario poetico, e l’irrisione di «coloro che rubano le paroline af-famate; perché è gran differenzia da gli imitatori a i rubatori». Cosí pure nel grande e variegato libro delle Lettere, Aretino-Pasquino mo-stra di non abbandonare mai i panni del fiero araldo della verità, che spavaldamente spezza le catene del conformismo e, pagando anche al-ti prezzi personali, osa smascherare l’ipocrisia, la falsità e i vizi dei si-gnori, mettendone scommaticamente a nudo la meschinità degli intri-ghi e dei conflitti, in nulla diversi da quelli in cui si dibattono servito-ri, ruffiani, mercanti e ciurmatori.
2007
9788884025609
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