.Interprete attento e sensibile del sentimento di appartenenza e di identità culturale e civile formatosi nel corso dell’invasione turca di Otranto del 1480 fu Giuseppe De Do-minicis (1869-1905), un poeta salentino meglio conosciuto con lo pseudonimo di Capi-tano Black e principalmente dedito alla poesia in dialetto. Notevole successo ebbe in particolare il poemetto epico Li martiri d’Otrantu, composto e pubblicato nel 1902 presso lo Stabilimento Tipografico Giurdignano di Lecce e strutturato in 50 componi-menti di quattro quartine di endecasillabi a rima alternata, per un totale di 800 versi (tanti quanti furono i Martiri idruntini). Che l’antico fatto d’armi, scrigno prezioso di eroismo e di virtú morali e civili, sia divenuto un punto di riferimento fondamentale della storia di Terra d’Otranto e abbia assunto un valore esemplare e formativo delle coscienze delle giovani generazioni è confermato dall’impostazione stessa del poemetto, immaginato come il racconto di un padre al proprio figlio. Inoltre, la matrice regionalistica non chiude il poemetto dedomi-nicisiano nel colore locale o in un ripiegamento particolaristico. È invece un dato empi-rico della conoscenza di se stessi e della realtà, che – oltre a costituire la naturale base lirico-evocativa – collega l’opera a quelle diffuse correnti culturali variamente (e ogget-tivamente) convergenti in un processo identitario. Infatti, come spesso si è verificato nei momenti topici della storia d’Italia, anche all’indomani dell’unificazione, quando inco-minciavano a farsi sentire con maggiore drammaticità alcuni problemi derivanti dalla secolare diversità socio-econimica e dalla divisione e contrapposizione politico-militare delle nostre regioni e città, lo sguardo degli intellettuali italiani si è rivolto al passato, alla ricerca di memorie condivise, in forza delle quali vincere le delusioni del presente e nelle quali radicare sempre piú saldamente una moderna e progressiva coscienza nazio-nale. In questa situazione, la letteratura – segnatamente quella in dialetto – appare orien-tata verso le forme della poesia di impegno civile e di rievocazione storica. Ed è appun-to per influenza di una simile congiuntura che, specialmente nella parte finale del poe-metto dedominiciano, al crescente pathos morale e al conclamato intento edificante si associa un altrettanto fondamentale valore identitario. Infatti, la guerra turca del 1480, tutto sommato assolutamente irrilevante nel quadro delle dinamiche storiche contempo-ranee, viene qui opportunamente presentata nel modo in cui essa fu vissuta dagli otran-tini e per ciò che essa, nel corso dei secoli, è diventata nella cultura popolare della Terra d’Otranto: come l’evento, cioè, che portò all’acquisizione di una nuova coscienza di se stessi, della propria storia e del proprio destino, modificando per sempre la Weltan-schauung di una popolazione da sempre abituata a una vita sostanzialmente pacifica. E fu appunto da questo ravvicinato e quanto mai drammatico confronto con i Turchi, dei quali risultò evidente l’irriducibile diversità etnica e culturale, che per gli otrantini e per gran parte della popolazione salentina se, da un lato, lo straniero cessò di essere soltanto il fratello, l’amico, colui con il quale si è in rapporti d’affari o il pellegrino con il quale si scambiano informazioni per diventare – da quel momento in avanti – qualcuno dal quale si è separati da una netta e invalicabile linea discriminatoria, dall’altro, uscirono rafforzati la consapevolezza dei propri valori e il legame a una storia comune e a un medesimo destino. Sicché, molto tempo piú tardi, Giuseppe De Dominicis poté scorgere in quel lontano evento una delle prime affermazioni della libertà d’Italia.

«Mamma, li Turchi!», ovvero la negazione dell'umanità: spunti e motivi nel poemetto 'Li Martiri d'Otrantu' di Giuseppe De Dominicis

MARZO, Antonio
2009-01-01

Abstract

.Interprete attento e sensibile del sentimento di appartenenza e di identità culturale e civile formatosi nel corso dell’invasione turca di Otranto del 1480 fu Giuseppe De Do-minicis (1869-1905), un poeta salentino meglio conosciuto con lo pseudonimo di Capi-tano Black e principalmente dedito alla poesia in dialetto. Notevole successo ebbe in particolare il poemetto epico Li martiri d’Otrantu, composto e pubblicato nel 1902 presso lo Stabilimento Tipografico Giurdignano di Lecce e strutturato in 50 componi-menti di quattro quartine di endecasillabi a rima alternata, per un totale di 800 versi (tanti quanti furono i Martiri idruntini). Che l’antico fatto d’armi, scrigno prezioso di eroismo e di virtú morali e civili, sia divenuto un punto di riferimento fondamentale della storia di Terra d’Otranto e abbia assunto un valore esemplare e formativo delle coscienze delle giovani generazioni è confermato dall’impostazione stessa del poemetto, immaginato come il racconto di un padre al proprio figlio. Inoltre, la matrice regionalistica non chiude il poemetto dedomi-nicisiano nel colore locale o in un ripiegamento particolaristico. È invece un dato empi-rico della conoscenza di se stessi e della realtà, che – oltre a costituire la naturale base lirico-evocativa – collega l’opera a quelle diffuse correnti culturali variamente (e ogget-tivamente) convergenti in un processo identitario. Infatti, come spesso si è verificato nei momenti topici della storia d’Italia, anche all’indomani dell’unificazione, quando inco-minciavano a farsi sentire con maggiore drammaticità alcuni problemi derivanti dalla secolare diversità socio-econimica e dalla divisione e contrapposizione politico-militare delle nostre regioni e città, lo sguardo degli intellettuali italiani si è rivolto al passato, alla ricerca di memorie condivise, in forza delle quali vincere le delusioni del presente e nelle quali radicare sempre piú saldamente una moderna e progressiva coscienza nazio-nale. In questa situazione, la letteratura – segnatamente quella in dialetto – appare orien-tata verso le forme della poesia di impegno civile e di rievocazione storica. Ed è appun-to per influenza di una simile congiuntura che, specialmente nella parte finale del poe-metto dedominiciano, al crescente pathos morale e al conclamato intento edificante si associa un altrettanto fondamentale valore identitario. Infatti, la guerra turca del 1480, tutto sommato assolutamente irrilevante nel quadro delle dinamiche storiche contempo-ranee, viene qui opportunamente presentata nel modo in cui essa fu vissuta dagli otran-tini e per ciò che essa, nel corso dei secoli, è diventata nella cultura popolare della Terra d’Otranto: come l’evento, cioè, che portò all’acquisizione di una nuova coscienza di se stessi, della propria storia e del proprio destino, modificando per sempre la Weltan-schauung di una popolazione da sempre abituata a una vita sostanzialmente pacifica. E fu appunto da questo ravvicinato e quanto mai drammatico confronto con i Turchi, dei quali risultò evidente l’irriducibile diversità etnica e culturale, che per gli otrantini e per gran parte della popolazione salentina se, da un lato, lo straniero cessò di essere soltanto il fratello, l’amico, colui con il quale si è in rapporti d’affari o il pellegrino con il quale si scambiano informazioni per diventare – da quel momento in avanti – qualcuno dal quale si è separati da una netta e invalicabile linea discriminatoria, dall’altro, uscirono rafforzati la consapevolezza dei propri valori e il legame a una storia comune e a un medesimo destino. Sicché, molto tempo piú tardi, Giuseppe De Dominicis poté scorgere in quel lontano evento una delle prime affermazioni della libertà d’Italia.
2009
9788884026576
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