Nello studio dell’organizzazione del lavoro agricolo nel mondo romano alla figura del bracciante salariato è stata finora riservata un’attenzione piuttosto inadeguata. Ciò dipende dal fatto che generalmente le fonti stesse assegnano uno scarso rilievo a questo aspetto. I trattati di agricoltura pongono in primo piano l’azienda schiavistica e solo incidentalmente fanno riferimento al lavoro salariato così come ad altre forme di lavoro libero, mentre le fonti giuridiche, pur mettendo in ampio risalto il contratto di locazione agraria (locatio rei), danno uno spazio molto più limitato alla locazione di opere (locatio operarum). Una figura che si presta a venire interpretata come bracciante salariato è quella dell’inquilino, che nelle fonti di età imperiale appare spesso associata a quella del colono. In un interessante passo del Levitico nella versione della Vetus Latina tra la manodopera a disposizione di un proprietario terriero accanto agli schiavi compaiono anche il mercenarius e l’inquilinus. Se dunque appare normale l’accostamento di inquilinus a incola, di cui è diminutivo, e se si spiega l’accostamento di questi due termini a advena e peregrinus, così come avviene altre volte negli autori cristiani tardoantichi, insolito potrebbe sembrare a prima vista il collegamento di questi termini con mercenarius. In realtà, però, la connessione tra inquilinus e i suoi sinonimi incola, advena, peregrinus da una parte e mercenarius dall’altra, la connessione cioè tra colui che si sposta dalla sua sede di residenza per andare a collocarsi in un altro luogo dove risulta forestiero e il bracciante salariato, si spiega abbastanza facilmente se si pensa che quest’ultimo era spesso costretto a spostarsi per cercare lavoro. Sulla base di alcune testimonianze, che ripartiscono la manodopera rurale nelle tre categorie degli schiavi, coloni e inquilini, è possibile ricostruire astrattamente un modello di proprietà suddiviso in tre settori: il primo in cui si pratica la produzione agricola centralizzata, affidato ad una familia rustica sotto la direzione di un vilicus, secondo la descrizione degli agronomi che ha fornitola base del tradizionale modello della villa schiavistica. Il secondo settore è quello della produzione artigianale, affidato ad un personale che i giuristi separano dalla familia rustica, visto come parte dell’instrumentum del fondo o della villa e annesso al primo settore. Il terzo settore, infine, è costituito dalle parcelle, di numero variabile, in cui è suddivisa la parte periferica della proprietà riservata ad affittuari che la coltivano in proprio percependone i frutti in cambio di un canone annuo. Un caso concreto a conferma di questo quadro tracciato attraverso i dati forniti per altre aree dell’impero romano dalle fonti letterarie, giuridiche e papirologiche si potrebbe cercare in alcune recenti scoperte archeologiche ed epigrafiche in Puglia, che è una delle regioni in cui è stata condotta una sistematica indagine di un particolare tipo di grande proprietà, quella imperiale, all’interno della quale la produzione agricola si può affiancare a quella artigianale. Tale sembra il caso di Vagnari, dove campagne di scavo in corso ormai da anni, hanno individuato una proprietà imperiale dotata di una parte centrale coltivata da schiavi e di una parte periferica suddivisa in lotti affittati a coloni. All’interno della vasta struttura di proprietà imperiale rientra anche un villaggio, costruito a ridosso di una cava e di una fornace. Gli abitanti del villaggio, sepolti nella annessa necropoli, sembrano costituire i componenti del terzo settore produttivo della villa, adibito alla produzione artigianale e utilizzabile quale manodopera agricola supplementare nelle fasi stagionali di più intensa attività.
Inquilini e un modello di organizzazione del lavoro in una proprietà imperiale della Puglia romana
ROSAFIO, Pasquale
2005-01-01
Abstract
Nello studio dell’organizzazione del lavoro agricolo nel mondo romano alla figura del bracciante salariato è stata finora riservata un’attenzione piuttosto inadeguata. Ciò dipende dal fatto che generalmente le fonti stesse assegnano uno scarso rilievo a questo aspetto. I trattati di agricoltura pongono in primo piano l’azienda schiavistica e solo incidentalmente fanno riferimento al lavoro salariato così come ad altre forme di lavoro libero, mentre le fonti giuridiche, pur mettendo in ampio risalto il contratto di locazione agraria (locatio rei), danno uno spazio molto più limitato alla locazione di opere (locatio operarum). Una figura che si presta a venire interpretata come bracciante salariato è quella dell’inquilino, che nelle fonti di età imperiale appare spesso associata a quella del colono. In un interessante passo del Levitico nella versione della Vetus Latina tra la manodopera a disposizione di un proprietario terriero accanto agli schiavi compaiono anche il mercenarius e l’inquilinus. Se dunque appare normale l’accostamento di inquilinus a incola, di cui è diminutivo, e se si spiega l’accostamento di questi due termini a advena e peregrinus, così come avviene altre volte negli autori cristiani tardoantichi, insolito potrebbe sembrare a prima vista il collegamento di questi termini con mercenarius. In realtà, però, la connessione tra inquilinus e i suoi sinonimi incola, advena, peregrinus da una parte e mercenarius dall’altra, la connessione cioè tra colui che si sposta dalla sua sede di residenza per andare a collocarsi in un altro luogo dove risulta forestiero e il bracciante salariato, si spiega abbastanza facilmente se si pensa che quest’ultimo era spesso costretto a spostarsi per cercare lavoro. Sulla base di alcune testimonianze, che ripartiscono la manodopera rurale nelle tre categorie degli schiavi, coloni e inquilini, è possibile ricostruire astrattamente un modello di proprietà suddiviso in tre settori: il primo in cui si pratica la produzione agricola centralizzata, affidato ad una familia rustica sotto la direzione di un vilicus, secondo la descrizione degli agronomi che ha fornitola base del tradizionale modello della villa schiavistica. Il secondo settore è quello della produzione artigianale, affidato ad un personale che i giuristi separano dalla familia rustica, visto come parte dell’instrumentum del fondo o della villa e annesso al primo settore. Il terzo settore, infine, è costituito dalle parcelle, di numero variabile, in cui è suddivisa la parte periferica della proprietà riservata ad affittuari che la coltivano in proprio percependone i frutti in cambio di un canone annuo. Un caso concreto a conferma di questo quadro tracciato attraverso i dati forniti per altre aree dell’impero romano dalle fonti letterarie, giuridiche e papirologiche si potrebbe cercare in alcune recenti scoperte archeologiche ed epigrafiche in Puglia, che è una delle regioni in cui è stata condotta una sistematica indagine di un particolare tipo di grande proprietà, quella imperiale, all’interno della quale la produzione agricola si può affiancare a quella artigianale. Tale sembra il caso di Vagnari, dove campagne di scavo in corso ormai da anni, hanno individuato una proprietà imperiale dotata di una parte centrale coltivata da schiavi e di una parte periferica suddivisa in lotti affittati a coloni. All’interno della vasta struttura di proprietà imperiale rientra anche un villaggio, costruito a ridosso di una cava e di una fornace. Gli abitanti del villaggio, sepolti nella annessa necropoli, sembrano costituire i componenti del terzo settore produttivo della villa, adibito alla produzione artigianale e utilizzabile quale manodopera agricola supplementare nelle fasi stagionali di più intensa attività.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.