È uno studio sulla favola italiana nel Settecento e sull’influenza che hanno avuto su di essa la letteratura e la cultura inglesi. Dai primi maestri, Esopo, Fedro e Orazio, la favola italiana, inserendosi come genere letterario nelle dinamiche culturali europee, è divenuta sempre più specchio di cambiamenti storici e sociali, coscienza critica della società, strumento per l’educazione degli uomini. Lorenzo Pignotti, autore di ottantuno favole, pubblicate per la prima volta nel 1782, mira, come buona parte dei favolisti del suo tempo, alla creazione di un’opera che sia in grado di porsi come integrazione della legge per punire o correggere, con l’arma del ridicolo o con la forza delle parole, tutti quei difetti morali che la giustizia non può perseguire. Egli dimostra di saper usare uno stile adatto ad ogni argomento affrontato. In certi casi il suo stile sa essere semplice e conciso, con una descrizione dei fatti e degli oggetti ridotta all’essenziale, in altri esso riesce a trasformare un’idea smorta e insignificante in qualcosa di vivo e colorato, in altri ancora è la fantasia che dà corpo alle astratte verità morali descritte poi dalla razionalità. Il poeta toscano, convinto che sia impossibile creare una favola che non tenga conto della storia, fa tesoro degli apologhi del passato, di quelli di Esopo soprattutto, ma prende in prestito anche temi e spunti dagli autori del presente. Ed è determinante nella produzione del Pignotti l’influenza di un grande autore come Alexander Pope. Per il favolista toscano e per gran parte dei letterati italiani, la cultura inglese rappresenta, soprattutto nella seconda metà del Settecento, la migliore erede della tradizione classica, e se il Pignotti sceglie di far precedere la sua prima raccolta da un poemetto come L’ombra di Pope, è sicuramente perché riconosce nell’autore inglese l’interprete principale di quella cultura, il cui esempio è un importante punto di riferimento per la favola.

NOTE SULLA FAVOLA E DINTORNI

MASIERI, MIRELLA
2005-01-01

Abstract

È uno studio sulla favola italiana nel Settecento e sull’influenza che hanno avuto su di essa la letteratura e la cultura inglesi. Dai primi maestri, Esopo, Fedro e Orazio, la favola italiana, inserendosi come genere letterario nelle dinamiche culturali europee, è divenuta sempre più specchio di cambiamenti storici e sociali, coscienza critica della società, strumento per l’educazione degli uomini. Lorenzo Pignotti, autore di ottantuno favole, pubblicate per la prima volta nel 1782, mira, come buona parte dei favolisti del suo tempo, alla creazione di un’opera che sia in grado di porsi come integrazione della legge per punire o correggere, con l’arma del ridicolo o con la forza delle parole, tutti quei difetti morali che la giustizia non può perseguire. Egli dimostra di saper usare uno stile adatto ad ogni argomento affrontato. In certi casi il suo stile sa essere semplice e conciso, con una descrizione dei fatti e degli oggetti ridotta all’essenziale, in altri esso riesce a trasformare un’idea smorta e insignificante in qualcosa di vivo e colorato, in altri ancora è la fantasia che dà corpo alle astratte verità morali descritte poi dalla razionalità. Il poeta toscano, convinto che sia impossibile creare una favola che non tenga conto della storia, fa tesoro degli apologhi del passato, di quelli di Esopo soprattutto, ma prende in prestito anche temi e spunti dagli autori del presente. Ed è determinante nella produzione del Pignotti l’influenza di un grande autore come Alexander Pope. Per il favolista toscano e per gran parte dei letterati italiani, la cultura inglese rappresenta, soprattutto nella seconda metà del Settecento, la migliore erede della tradizione classica, e se il Pignotti sceglie di far precedere la sua prima raccolta da un poemetto come L’ombra di Pope, è sicuramente perché riconosce nell’autore inglese l’interprete principale di quella cultura, il cui esempio è un importante punto di riferimento per la favola.
2005
9788881767083
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