La redazione di carte di distribuzione ed una valutazione delle reciproche incidenze per le varie produzioni trovano limiti significativi in una serie di fattori, peraltro variamente sottolineati negli studi teorici dell’archeologia spaziale: la difformità, quantitativa e qualitativa, delle ricerche e delle pubblicazioni, che genera vari coni d’ombra e di luce: i comparti in luce sono quelli dell’arco adriatico veneto, giuliano e istriano, il medio Adriatico abruzzese, la Puglia; la difficoltà di identificazione, derivante dal livello non sempre puntuale delle pubblicazioni; il campione inquinato e parziale mutuabile dall’edito; il problema della visibilità e riconoscibilità di alcune produzioni; la mancanza di analisi archeometriche; l’assenza, o, nel migliore dei casi, la disomogeneità di criteri e procedure di quantificazione. Seppur sommariamente, considerata l’ampiezza del bacino geografico e temporale in esame, si è proceduto con un tentativo di analisi contestuale: si è realizzata cioè come base e premessa del lavoro una schedatura dei siti del comprensorio adriatico costiero e subcostiero tenendo conto degli aspetti specificatamente archeologici dei contesti (abitato, abitato/porto, postazione militare/fortificazione/presidio, villa tardoantica, relitto, discarica portuale, ancoraggio, area di necropoli, corredo funerario, luogo di culto, ecc.) come elementi condizionanti i valori quantitativi assoluti dei materiali e la variabilità delle tipologie. Particolare attenzione merita l’archeologia subacquea, per il contributo indubbiamente significativo soprattutto laddove si è realizzato un censimento della documentazione; pochi, però, sono i relitti di questa fase, quasi tutti concentrati lungo le coste orientali e poco o nulla indagati. Fecondo spunti di discussione vengono dalla restituzione della rete di porti principali e secondari o dei sistemi portuali (si pensi quello altoadriatico, con la moltiplicazione di approdi dopo il declino di Aquileia a seguito della guerra greco-gotica) e, ovviamente in parallelo, i circuiti preferenziali; dopo la cessazione della leadership di Aquileia nell’alto Adriatico si rileva un commercio di redistribuzione a breve o medio raggio; è sicuramente preminante l’asse est-ovest Costantinopoli, Salona, Ravenna, come indicano con chiarezza le fonti, ma sono frequentemente battuti anche tratti minori, trasversali e verticali. La raccolta di dati vecchi e nuovi, in taluni casi inediti, conferma a grandi linee tendenze che già C. Panella e P. Arthur avevano messo in evidenza, sebbene a scala maggiore rispetto a quella adriatica. In primo luogo il rapporto privilegiato con l’interlocutore orientale; i prodotti orientali seguono da presso e in taluni casi superano quelli africani; la loro “tenuta”, anche dopo la definitiva cessazione – attorno alla metà o nella seconda metà del VII - del commercio transmarino, è ovviamente connessa agli interessi di Bisanzio e della Chiesa. Nei contesti tardoantichi e altomedievali dei recenti scavi di Tergeste è schiacciante, quanto prevedibile, la prevalenza di contenitori vinari orientali sulle quantità ridotte delle anfore suditaliche; sebbene sia maggioritaria la presenza dei prodotti africani, olio e salse di pesce, l’incidenza delle produzioni orientali nella fase di V-VII sec. d.C.è considerevole, pari al 25 %. Ad Aquileia, nei contesti di scavo di due insulae del quartiere nord-orientale, relativi ad un arco cronologico compreso tra inizi IV e inizi VI sec. d.C., le anfore orientali sono attestate quanto le italiche(18.8 %), mentre le africane raggiungono indici del 60 %. Conferme più esplicite della tendenza adriatica a gravitare sul bacino orientale del Mediterraneo anche nella tarda antichità ci vengono da altri contesti adriatici, ubicati in prossimità o lungo la costa: nella villa di Agnuli, presso Mattinata, sul litorale garganico, i contenitori orientali rappresentano il 50 %, cioè quasi il doppio delle produzioni africane; un dato analogo – da leggere con le opportune cautele – viene dal corpus dei rinvenimenti subacquei del Salento; anche ad Otranto, nei vari contesti tardoromani (IV – VI secolo) che denunciano la grande vitalità del sito in questa fase, si nota una preminenza dei contenitori orientali (52 %) su quelli nordafricani (46 %); le importazioni orientali nei livelli tardoantichi di Brioni costituiscono il 55 % del complesso del materiale anforario. Nel medio adriatico, invece, sembrerebbero protagoniste assolute le importazioni africane, mediate comunque da centri di ridistribuzione, come appare nei contesti di Crecchio e di Casali di Nocciano. Si registra, soprattutto per gli arrivi dall’Oriente, una sensibile discrasia tra centri costieri e centri interni, sia urbani che rurali: per esempio, i dati di Agnuli sono opposti a quelli di Ordona e Canosa, che invece collimano, con il predominio delle produzioni africane, ma anche a quelli di ville e villaggi come S. Giovanni di Ruoti in Basilicata, o di Posta Crusta e S. Giusto in Daunia, in cui sono protagoniste le produzioni locali. La stessa dicotomia è evidente anche nell’area nordadriatica orientale: dalla seconda metà – fine del V secolo, con il disfacimento del sistema difensivo dei Claustra Alpium Iuliarum che comportava il rifornimento regolare delle truppe impegnate nella difesa in profondità, si rilevano importazioni solo nelle città costiere e nel loro immediato hinterland: Capodistria, Pirano, Isola. Questo scenario contrasta con i dati degli scavi dei castra bizantini del Friuli, dove le anfore orientali sono ben documentate, a indizio di una notevole capacità di penetrazione dalla costa. Sporadici i rinvenimenti di produzioni del Mediterraneo occidentale; si registra qualche presenza iberica soprattutto nell’Adriatico nord-orientale, ovviamente per quanto concerne il V secolo. E’ particolarmente interessante il fenomeno delle produzioni locali: ad Otranto (ma anche, forse, nella Puglia settentrionale), nella Val Pescara e nel ravennate; non si esclude un’attività manifatturiera anche nei siti albanesi, per esempio a Shkodra e a Paleokastra. Tutti i dati, comunque, convergono a ribadire la contrazione di produzioni e importazioni, anche nelle città costiere, al più tardi attorno alla metà del VII secolo; nelle fornaci idruntine di Mitello le anfore da trasporto costituiscono solo l’8% dei materiali di manifattura locale.

La circolazione delle anfore in Adriatico tra V e VIII sec. d.C.

AURIEMMA, Rita;
2007-01-01

Abstract

La redazione di carte di distribuzione ed una valutazione delle reciproche incidenze per le varie produzioni trovano limiti significativi in una serie di fattori, peraltro variamente sottolineati negli studi teorici dell’archeologia spaziale: la difformità, quantitativa e qualitativa, delle ricerche e delle pubblicazioni, che genera vari coni d’ombra e di luce: i comparti in luce sono quelli dell’arco adriatico veneto, giuliano e istriano, il medio Adriatico abruzzese, la Puglia; la difficoltà di identificazione, derivante dal livello non sempre puntuale delle pubblicazioni; il campione inquinato e parziale mutuabile dall’edito; il problema della visibilità e riconoscibilità di alcune produzioni; la mancanza di analisi archeometriche; l’assenza, o, nel migliore dei casi, la disomogeneità di criteri e procedure di quantificazione. Seppur sommariamente, considerata l’ampiezza del bacino geografico e temporale in esame, si è proceduto con un tentativo di analisi contestuale: si è realizzata cioè come base e premessa del lavoro una schedatura dei siti del comprensorio adriatico costiero e subcostiero tenendo conto degli aspetti specificatamente archeologici dei contesti (abitato, abitato/porto, postazione militare/fortificazione/presidio, villa tardoantica, relitto, discarica portuale, ancoraggio, area di necropoli, corredo funerario, luogo di culto, ecc.) come elementi condizionanti i valori quantitativi assoluti dei materiali e la variabilità delle tipologie. Particolare attenzione merita l’archeologia subacquea, per il contributo indubbiamente significativo soprattutto laddove si è realizzato un censimento della documentazione; pochi, però, sono i relitti di questa fase, quasi tutti concentrati lungo le coste orientali e poco o nulla indagati. Fecondo spunti di discussione vengono dalla restituzione della rete di porti principali e secondari o dei sistemi portuali (si pensi quello altoadriatico, con la moltiplicazione di approdi dopo il declino di Aquileia a seguito della guerra greco-gotica) e, ovviamente in parallelo, i circuiti preferenziali; dopo la cessazione della leadership di Aquileia nell’alto Adriatico si rileva un commercio di redistribuzione a breve o medio raggio; è sicuramente preminante l’asse est-ovest Costantinopoli, Salona, Ravenna, come indicano con chiarezza le fonti, ma sono frequentemente battuti anche tratti minori, trasversali e verticali. La raccolta di dati vecchi e nuovi, in taluni casi inediti, conferma a grandi linee tendenze che già C. Panella e P. Arthur avevano messo in evidenza, sebbene a scala maggiore rispetto a quella adriatica. In primo luogo il rapporto privilegiato con l’interlocutore orientale; i prodotti orientali seguono da presso e in taluni casi superano quelli africani; la loro “tenuta”, anche dopo la definitiva cessazione – attorno alla metà o nella seconda metà del VII - del commercio transmarino, è ovviamente connessa agli interessi di Bisanzio e della Chiesa. Nei contesti tardoantichi e altomedievali dei recenti scavi di Tergeste è schiacciante, quanto prevedibile, la prevalenza di contenitori vinari orientali sulle quantità ridotte delle anfore suditaliche; sebbene sia maggioritaria la presenza dei prodotti africani, olio e salse di pesce, l’incidenza delle produzioni orientali nella fase di V-VII sec. d.C.è considerevole, pari al 25 %. Ad Aquileia, nei contesti di scavo di due insulae del quartiere nord-orientale, relativi ad un arco cronologico compreso tra inizi IV e inizi VI sec. d.C., le anfore orientali sono attestate quanto le italiche(18.8 %), mentre le africane raggiungono indici del 60 %. Conferme più esplicite della tendenza adriatica a gravitare sul bacino orientale del Mediterraneo anche nella tarda antichità ci vengono da altri contesti adriatici, ubicati in prossimità o lungo la costa: nella villa di Agnuli, presso Mattinata, sul litorale garganico, i contenitori orientali rappresentano il 50 %, cioè quasi il doppio delle produzioni africane; un dato analogo – da leggere con le opportune cautele – viene dal corpus dei rinvenimenti subacquei del Salento; anche ad Otranto, nei vari contesti tardoromani (IV – VI secolo) che denunciano la grande vitalità del sito in questa fase, si nota una preminenza dei contenitori orientali (52 %) su quelli nordafricani (46 %); le importazioni orientali nei livelli tardoantichi di Brioni costituiscono il 55 % del complesso del materiale anforario. Nel medio adriatico, invece, sembrerebbero protagoniste assolute le importazioni africane, mediate comunque da centri di ridistribuzione, come appare nei contesti di Crecchio e di Casali di Nocciano. Si registra, soprattutto per gli arrivi dall’Oriente, una sensibile discrasia tra centri costieri e centri interni, sia urbani che rurali: per esempio, i dati di Agnuli sono opposti a quelli di Ordona e Canosa, che invece collimano, con il predominio delle produzioni africane, ma anche a quelli di ville e villaggi come S. Giovanni di Ruoti in Basilicata, o di Posta Crusta e S. Giusto in Daunia, in cui sono protagoniste le produzioni locali. La stessa dicotomia è evidente anche nell’area nordadriatica orientale: dalla seconda metà – fine del V secolo, con il disfacimento del sistema difensivo dei Claustra Alpium Iuliarum che comportava il rifornimento regolare delle truppe impegnate nella difesa in profondità, si rilevano importazioni solo nelle città costiere e nel loro immediato hinterland: Capodistria, Pirano, Isola. Questo scenario contrasta con i dati degli scavi dei castra bizantini del Friuli, dove le anfore orientali sono ben documentate, a indizio di una notevole capacità di penetrazione dalla costa. Sporadici i rinvenimenti di produzioni del Mediterraneo occidentale; si registra qualche presenza iberica soprattutto nell’Adriatico nord-orientale, ovviamente per quanto concerne il V secolo. E’ particolarmente interessante il fenomeno delle produzioni locali: ad Otranto (ma anche, forse, nella Puglia settentrionale), nella Val Pescara e nel ravennate; non si esclude un’attività manifatturiera anche nei siti albanesi, per esempio a Shkodra e a Paleokastra. Tutti i dati, comunque, convergono a ribadire la contrazione di produzioni e importazioni, anche nelle città costiere, al più tardi attorno alla metà del VII secolo; nelle fornaci idruntine di Mitello le anfore da trasporto costituiscono solo l’8% dei materiali di manifattura locale.
2007
9788887115536
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