Il saggio ricostruisce i problemi e le questioni legati al disastroso terremoto calabro-messinese del febbraio-marzo 1783, che, oltre a radere al suolo la metà dei centri abitati delle odierne province di Catanzaro e Reggio Calabria, provocò, direttamente o per le conseguenti epidemie, la morte di circa trentamila persone (il 10 per cento dell'intera popolazione). Si tratta di una cesura di fondamentale importanza per la storia della Calabria tardo-settecentesca, i cui effetti, in una regione caratterizzata da ricorrenti alluvioni e rovinosi terremoti, si misureranno nel lungo periodo, sino all’altrettanto disastroso sisma del 1908. Il tragico e spettacolare evento, al centro, dopo l'altrettanto devastante sisma che nel 1755 colpì Lisbona, dell'attenzione degli scienziati e dell'intellettualità del tempo (i cosiddetti “filosofi”), se, da un lato, richiese una difficile e complessa azione di soccorso, dall'altro innescò una serie di processi, attraverso i quali la società calabrese del tempo cercò di superare gli effetti indotti dal macrosisma, sia nel breve, sia nel lungo periodo. In tale ottica, il contributo s'avvale, tra l'altro, di una documentazione seriale (gli atti notarili), la cui sistematica utilizzazione con metodologie avanzate ha consentito all'autore, attraverso le testimonianze dirette dei notai e dei loro clienti, di ricomporre in un quadro unitario le molteplici spinte alla rinascita di una società segnata dalla catastrofe, che aveva sconvolto gran parte del paesaggio agrario e provocato migliaia di vittime (soprattutto donne e bambini), i cui corpi, mutilati e recuperati a distanza di giorni, vennero inumati nelle chiese e luoghi sacri, anch'essi distrutti dalla furia sismica, oppure sottoposti, per motivi igienici e sanitari, al catartico e doloroso rito della cremazione.
La Calabria nel 1783. Famiglia, proprietà e paura della morte in una terra tremante
GAUDIOSO, Francesco
2006-01-01
Abstract
Il saggio ricostruisce i problemi e le questioni legati al disastroso terremoto calabro-messinese del febbraio-marzo 1783, che, oltre a radere al suolo la metà dei centri abitati delle odierne province di Catanzaro e Reggio Calabria, provocò, direttamente o per le conseguenti epidemie, la morte di circa trentamila persone (il 10 per cento dell'intera popolazione). Si tratta di una cesura di fondamentale importanza per la storia della Calabria tardo-settecentesca, i cui effetti, in una regione caratterizzata da ricorrenti alluvioni e rovinosi terremoti, si misureranno nel lungo periodo, sino all’altrettanto disastroso sisma del 1908. Il tragico e spettacolare evento, al centro, dopo l'altrettanto devastante sisma che nel 1755 colpì Lisbona, dell'attenzione degli scienziati e dell'intellettualità del tempo (i cosiddetti “filosofi”), se, da un lato, richiese una difficile e complessa azione di soccorso, dall'altro innescò una serie di processi, attraverso i quali la società calabrese del tempo cercò di superare gli effetti indotti dal macrosisma, sia nel breve, sia nel lungo periodo. In tale ottica, il contributo s'avvale, tra l'altro, di una documentazione seriale (gli atti notarili), la cui sistematica utilizzazione con metodologie avanzate ha consentito all'autore, attraverso le testimonianze dirette dei notai e dei loro clienti, di ricomporre in un quadro unitario le molteplici spinte alla rinascita di una società segnata dalla catastrofe, che aveva sconvolto gran parte del paesaggio agrario e provocato migliaia di vittime (soprattutto donne e bambini), i cui corpi, mutilati e recuperati a distanza di giorni, vennero inumati nelle chiese e luoghi sacri, anch'essi distrutti dalla furia sismica, oppure sottoposti, per motivi igienici e sanitari, al catartico e doloroso rito della cremazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.