Fenomeno endemico e permanente, il banditismo o fuoruscitismo del Regno di Napoli si presenta, nel blocco dei secoli XVI-XVIII, variamente caratterizzato da una serie di processi e cesure periodizzanti (dalla rivolta masanielliana alla congiuntura del 1799), che lo contraddistinguono sia dalle manifestazioni di pura criminalità, sia dalle rivolte contadine o popolari. Dopo aver affrontato la questione terminologica, l’autore ha delineato, nel più ampio contesto degli Stati italiani d’antico regime, i caratteri del banditismo/fuoruscitismo nel Mezzogiorno d’Italia dal Viceregno spagnolo sino alle soglie del Decennio francese. L’assunzione di un arco cronologico così ampio e di un nodo tematico ben definito (le politiche repressivo-premiali) ha consentito, attraverso la comparazione storica e l’intreccio fra la dimensione sociale, politica, legislativa e giudiziaria, di gettare un po’ di luce sui modi della repressione, nonché sulle zone d’ombra dei metodi illegali posti in essere nella persecuzione dei banditi e dei loro complici. Oltre alle risposte repressive e di prevenzione, sono stati ricomposti, nell’ottica della punizione/perdono, i profili e le politiche premiali finalizzati ad avviare, attraverso uno scambio di favori tra il potere legale e quello extra-legem del mondo banditesco, una serie di trattative e accordi, sostanziati da promesse d’impunità e benefici ai dissociati che collaborassero con gli apparati giustiziali, procedendo alla cattura o all’uccisione dei loro compagni, di cui, in una sorta di rituale macabro, dovevano recidere la testa e consegnarla alle autorità per riscuotere la taglia. Nel contesto di una società che, pur irrigidita nell’etichetta e nel cerimoniale, rispondeva alla violenza criminale con la tortura, lo spettacolo cruento ed esemplare del supplizio, la prassi di mutilare e squartare i corpi, si veniva così ad incentivare un vero e proprio mercato delle teste, alimentato e legittimato, nella logica dell’impune occidi, dall’esercizio della giustizia privata, che, attraverso la faida e la vendetta, rendeva ancor più conflittuali i rapporti all’interno delle comunità locali.

Il potere di punire e perdonare. Banditismo e politiche criminali nel Regno di Napoli in età moderna

GAUDIOSO, Francesco
2006-01-01

Abstract

Fenomeno endemico e permanente, il banditismo o fuoruscitismo del Regno di Napoli si presenta, nel blocco dei secoli XVI-XVIII, variamente caratterizzato da una serie di processi e cesure periodizzanti (dalla rivolta masanielliana alla congiuntura del 1799), che lo contraddistinguono sia dalle manifestazioni di pura criminalità, sia dalle rivolte contadine o popolari. Dopo aver affrontato la questione terminologica, l’autore ha delineato, nel più ampio contesto degli Stati italiani d’antico regime, i caratteri del banditismo/fuoruscitismo nel Mezzogiorno d’Italia dal Viceregno spagnolo sino alle soglie del Decennio francese. L’assunzione di un arco cronologico così ampio e di un nodo tematico ben definito (le politiche repressivo-premiali) ha consentito, attraverso la comparazione storica e l’intreccio fra la dimensione sociale, politica, legislativa e giudiziaria, di gettare un po’ di luce sui modi della repressione, nonché sulle zone d’ombra dei metodi illegali posti in essere nella persecuzione dei banditi e dei loro complici. Oltre alle risposte repressive e di prevenzione, sono stati ricomposti, nell’ottica della punizione/perdono, i profili e le politiche premiali finalizzati ad avviare, attraverso uno scambio di favori tra il potere legale e quello extra-legem del mondo banditesco, una serie di trattative e accordi, sostanziati da promesse d’impunità e benefici ai dissociati che collaborassero con gli apparati giustiziali, procedendo alla cattura o all’uccisione dei loro compagni, di cui, in una sorta di rituale macabro, dovevano recidere la testa e consegnarla alle autorità per riscuotere la taglia. Nel contesto di una società che, pur irrigidita nell’etichetta e nel cerimoniale, rispondeva alla violenza criminale con la tortura, lo spettacolo cruento ed esemplare del supplizio, la prassi di mutilare e squartare i corpi, si veniva così ad incentivare un vero e proprio mercato delle teste, alimentato e legittimato, nella logica dell’impune occidi, dall’esercizio della giustizia privata, che, attraverso la faida e la vendetta, rendeva ancor più conflittuali i rapporti all’interno delle comunità locali.
2006
8880866753
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