È sin troppo banale ribadire che le relazioni tra diritto e estetica sono tanto discutibili quanto molteplici. Basta pensare alla vetusta affermazione dello status del diritto come forma di produzione artistica, alla questione delle influenze reciproche o al ben noto fatto che l’apparente autorità e razionalità del diritto dipende, nella prassi giuridica, pure da certe qualità «estetiche». Ma non di questo intendo parlare. L’argomento che propongo nasce piuttosto dal fatto che il diritto moderno: positivo e statale, continua ancora la sua auto-descrizione come legittima, rigorosa e ben strutturata disciplina, metodicamente indipendente da altre scienze e, comunque, non mero campo di applicazione di quelle che, una volta denominate «Geisteswissenschaften», oggi si chiamano «humanities». Non credo che la sua «ragione» intrinseca possa essere compresa escludendo l’estetico e al di fuori di un’estetica. Al contrario, penso che la ricerca estetica possa gettare luce sui punti ciechi del diritto e porre fine all’assidua finzione di una sua ragione pura. Il diritto non deve continuare a rimuovere le condizioni umane e sociali della sua costituzione, deve riconoscerle. Per questo necessiterà di un nuovo quadro di riferimento che si dimostra capace di analizzare sia le connessioni tra persone, luoghi, ideologie e culture che i nessi strutturali tra economia, politica e diritto. Questa nuova riflessione teorica sul diritto, a mio modo di vedere, non potrà più essere «scienza» o «filosofia» nel senso di una costruzione sistematica di quel che c’è, ma si configurerà come ricerca estetica1. La speranza è che, se il diritto autonomo si riflette esteticamente senza trasformarsi in «estetica», dall’attrito possa nascere una scintilla che dia vita a un diritto umano, comprensivo dell’altro di sé perché cosciente dell’altro in sé. Non è ovviamente questa la sede per presentare una completa analisi delle tematiche implicate. Qui interessa solo proporre, in termini operativi non definitivi, qualche spunto così da coglierne la complessità soprattutto in rapporto a due profili: di cosa tratta il discorso estetico (1), e qual è il suo ruolo nell’attuale orizzonte filosofico-giuridico (2)? Individuata la questione di fondo nel rapporto tra esperienza e ragione, la parte finale (3) discute l’esigenza di riformularlo.

ESTETICA DEL DIRITTO. SCHIZZO SU OGGETTO E RUOLO NELL’ORIZZONTE FILOSOFICO-GIURIDICO CONTEMPORANEO

Claudius Messner
2020-01-01

Abstract

È sin troppo banale ribadire che le relazioni tra diritto e estetica sono tanto discutibili quanto molteplici. Basta pensare alla vetusta affermazione dello status del diritto come forma di produzione artistica, alla questione delle influenze reciproche o al ben noto fatto che l’apparente autorità e razionalità del diritto dipende, nella prassi giuridica, pure da certe qualità «estetiche». Ma non di questo intendo parlare. L’argomento che propongo nasce piuttosto dal fatto che il diritto moderno: positivo e statale, continua ancora la sua auto-descrizione come legittima, rigorosa e ben strutturata disciplina, metodicamente indipendente da altre scienze e, comunque, non mero campo di applicazione di quelle che, una volta denominate «Geisteswissenschaften», oggi si chiamano «humanities». Non credo che la sua «ragione» intrinseca possa essere compresa escludendo l’estetico e al di fuori di un’estetica. Al contrario, penso che la ricerca estetica possa gettare luce sui punti ciechi del diritto e porre fine all’assidua finzione di una sua ragione pura. Il diritto non deve continuare a rimuovere le condizioni umane e sociali della sua costituzione, deve riconoscerle. Per questo necessiterà di un nuovo quadro di riferimento che si dimostra capace di analizzare sia le connessioni tra persone, luoghi, ideologie e culture che i nessi strutturali tra economia, politica e diritto. Questa nuova riflessione teorica sul diritto, a mio modo di vedere, non potrà più essere «scienza» o «filosofia» nel senso di una costruzione sistematica di quel che c’è, ma si configurerà come ricerca estetica1. La speranza è che, se il diritto autonomo si riflette esteticamente senza trasformarsi in «estetica», dall’attrito possa nascere una scintilla che dia vita a un diritto umano, comprensivo dell’altro di sé perché cosciente dell’altro in sé. Non è ovviamente questa la sede per presentare una completa analisi delle tematiche implicate. Qui interessa solo proporre, in termini operativi non definitivi, qualche spunto così da coglierne la complessità soprattutto in rapporto a due profili: di cosa tratta il discorso estetico (1), e qual è il suo ruolo nell’attuale orizzonte filosofico-giuridico (2)? Individuata la questione di fondo nel rapporto tra esperienza e ragione, la parte finale (3) discute l’esigenza di riformularlo.
2020
978-88-495-4200-4
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