Nell'introduzione (pp. 5-112) il traduttore segue il processo storico secondo cui il concetto di verità, teorizzato via via dai vari filosofi, a cominciare dai presocratici fino a Sant'Anselmo, giunge a San Tommaso, il quale, rielaborando tutti questi contributi e queste prospettive, li unifica in una sola, facendole confluire tutte in un’unica visione organica, in cui è teorizzato non solo il modo secondo cui deve rapportarsi l’intelletto dell’uomo al mondo, per conoscerne la verità, ma anche il modo secondo cui al mondo si è rapportato Dio, nell’atto creativo, durante il quale Dio ha “incarnato” nelle cose l’idea che aveva di ciascuna di esse prima di crearle. In questo modo si recuperava sia il concetto di verità di Platone, secondo il quale le idee sono state create dalla divinità e non dall’uomo, sia il concetto di verità di Aristotele, secondo il quale la verità non è nell’iperuranio, ma è incarnata nelle cose, quale loro forma, e l’uomo la conosce, quando, con il suo intelletto speculativo, «ricettivo delle forme», l’accoglie dentro di sé, ad essa conformandosi o “adeguandosi”. L’adeguazione diventa così la caratteristica essenziale della verità. Le cose sono vere, perché adeguate all’intelletto divino, che le ha create. L’intelletto umano è nel vero, quando si adegua alle cose, nel conoscerle, attraverso l’intelletto, che, come aveva detto Aristotele, «diventa [le forme] di tutte le cose».

Sulla verità

FIORENTINO, Fernando
2005-01-01

Abstract

Nell'introduzione (pp. 5-112) il traduttore segue il processo storico secondo cui il concetto di verità, teorizzato via via dai vari filosofi, a cominciare dai presocratici fino a Sant'Anselmo, giunge a San Tommaso, il quale, rielaborando tutti questi contributi e queste prospettive, li unifica in una sola, facendole confluire tutte in un’unica visione organica, in cui è teorizzato non solo il modo secondo cui deve rapportarsi l’intelletto dell’uomo al mondo, per conoscerne la verità, ma anche il modo secondo cui al mondo si è rapportato Dio, nell’atto creativo, durante il quale Dio ha “incarnato” nelle cose l’idea che aveva di ciascuna di esse prima di crearle. In questo modo si recuperava sia il concetto di verità di Platone, secondo il quale le idee sono state create dalla divinità e non dall’uomo, sia il concetto di verità di Aristotele, secondo il quale la verità non è nell’iperuranio, ma è incarnata nelle cose, quale loro forma, e l’uomo la conosce, quando, con il suo intelletto speculativo, «ricettivo delle forme», l’accoglie dentro di sé, ad essa conformandosi o “adeguandosi”. L’adeguazione diventa così la caratteristica essenziale della verità. Le cose sono vere, perché adeguate all’intelletto divino, che le ha create. L’intelletto umano è nel vero, quando si adegua alle cose, nel conoscerle, attraverso l’intelletto, che, come aveva detto Aristotele, «diventa [le forme] di tutte le cose».
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