Il contributo ha ad oggetto l’interpretazione delle clausole dei bandi di gara in materia di appalti pubblici. Esso muove da un assunto di base: il tema può essere correttamente affrontato se, prima che nella dimensione settoriale, venga inscritto nel più ampio problema teorico dell’interpretazione degli atti amministrativi. Conseguentemente, il contributo ricostruisce le regole di interpretazione del bando di gara ponendole in rapporto di species a genus rispetto alle regole di interpretazione degli atti amministrativi in generale. Nel contributo si sottolinea la problematicità dell’applicazione agli atti amministrativi, nei limiti della compatibilità, dei canoni ermeneutici dettati per i contratti nel Codice civile. Ad esempio, il criterio di interpretazione secondo buona fede di cui all’art. 1366 c.c. assume, analizzando le pronunce della giurisprudenza relative all’interpretazione degli atti amministrativi, una portata ambivalente. In una prima accezione, esso si rivela funzionale alla riaffermazione della preminenza del criterio di interpretazione letterale, poiché il legittimo affidamento dei destinatari del bando si consoliderebbe appunto sulle “espressioni letterali” usate dall’amministrazione, onde dovrebbe ritenersi preclusa all’interprete la ricerca di significati non chiaramente “espressi” dal testo dell’atto. In una seconda accezione, il criterio dell’interpretazione secondo buona fede viene utilizzato dalla giurisprudenza per rimediare all’insufficienza del criterio letterale, nei casi in cui la p.a. sia venuta meno all’obbligo del clare loqui: in questo caso occorrerebbe privilegiare, nel dubbio, al di là delle ambiguità della lettera, il significato che all’atto abbia attribuito il destinatario, purché si tratti di un’interpretazione “non illogica”. Anche il criterio di interpretazione conservativa di cui all’art. 1367 c.c. , con riferimento agli atti amministrativi, è utilizzato in modo ambivalente. A volte, il canone della conservazione viene collegato esclusivamente alla legittimità dell’atto amministrativo, affermandosi la necessità di privilegiare l’interpretazione che renda quest’ultimo conforme a legge e dunque non annullabile. In una seconda accezione, il criterio viene collegato non alla legittimità, ma all’utilità dell’atto amministrativo: l’interprete dovrebbe preferire, a fronte di più significati dell’atto tutti compatibili con la sua legittimità, quello che consenta all’atto stesso di connotarsi come maggiormente utile o comunque non inutile ai fini del perseguimento del fine pubblico. In ordine al criterio dell’intenzione dell’autore dell’atto di cui all’art. 1362, comma 1, c.c., la dottrina e la giurisprudenza si mostrano per lo più critiche, ponendo in endiadi l’intento soggettivamente perseguito con il potere oggettivamente esercitato e dunque mostrando di preferire la tesi della “de-psicologizzazione” della volontà espressa dalla p.a. nel provvedimento. Controversa è l’ammissibilità dell’interpretazione autentica dell’atto amministrativo, in grado di precludere la ricerca di opzioni esegetiche differenti da quelle indicate dall’amministrazione autrice/interprete. Fino ad anni recenti, dottrina e giurisprudenza apparivano concordi nel senso di negare l’applicabilità agli atti amministrativi del criterio dell’interpretazione contro l’autore della clausola, codificato dall’art. 1370 c.c.: l’evoluzione più recente ha invece aperto delle significative crepe in tale cristallizzato orientamento. Nella seconda parte, il contributo distingue l’interpretazione delle clausole del bando sanzionate espressamente con l’esclusione dalla gara, per le quali la giurisprudenza amministrativa ha elaborato il cd. criterio formale (ed i suoi limiti), e l’interpretazione delle clausole del bando non sanzionate espressamente con l’esclusione, in ordine alle quali la stessa giurisprudenza sostiene invece la primazia del cd. criterio teleologico.

Interpretazione del bando

MONTEDURO, MASSIMO
2005-01-01

Abstract

Il contributo ha ad oggetto l’interpretazione delle clausole dei bandi di gara in materia di appalti pubblici. Esso muove da un assunto di base: il tema può essere correttamente affrontato se, prima che nella dimensione settoriale, venga inscritto nel più ampio problema teorico dell’interpretazione degli atti amministrativi. Conseguentemente, il contributo ricostruisce le regole di interpretazione del bando di gara ponendole in rapporto di species a genus rispetto alle regole di interpretazione degli atti amministrativi in generale. Nel contributo si sottolinea la problematicità dell’applicazione agli atti amministrativi, nei limiti della compatibilità, dei canoni ermeneutici dettati per i contratti nel Codice civile. Ad esempio, il criterio di interpretazione secondo buona fede di cui all’art. 1366 c.c. assume, analizzando le pronunce della giurisprudenza relative all’interpretazione degli atti amministrativi, una portata ambivalente. In una prima accezione, esso si rivela funzionale alla riaffermazione della preminenza del criterio di interpretazione letterale, poiché il legittimo affidamento dei destinatari del bando si consoliderebbe appunto sulle “espressioni letterali” usate dall’amministrazione, onde dovrebbe ritenersi preclusa all’interprete la ricerca di significati non chiaramente “espressi” dal testo dell’atto. In una seconda accezione, il criterio dell’interpretazione secondo buona fede viene utilizzato dalla giurisprudenza per rimediare all’insufficienza del criterio letterale, nei casi in cui la p.a. sia venuta meno all’obbligo del clare loqui: in questo caso occorrerebbe privilegiare, nel dubbio, al di là delle ambiguità della lettera, il significato che all’atto abbia attribuito il destinatario, purché si tratti di un’interpretazione “non illogica”. Anche il criterio di interpretazione conservativa di cui all’art. 1367 c.c. , con riferimento agli atti amministrativi, è utilizzato in modo ambivalente. A volte, il canone della conservazione viene collegato esclusivamente alla legittimità dell’atto amministrativo, affermandosi la necessità di privilegiare l’interpretazione che renda quest’ultimo conforme a legge e dunque non annullabile. In una seconda accezione, il criterio viene collegato non alla legittimità, ma all’utilità dell’atto amministrativo: l’interprete dovrebbe preferire, a fronte di più significati dell’atto tutti compatibili con la sua legittimità, quello che consenta all’atto stesso di connotarsi come maggiormente utile o comunque non inutile ai fini del perseguimento del fine pubblico. In ordine al criterio dell’intenzione dell’autore dell’atto di cui all’art. 1362, comma 1, c.c., la dottrina e la giurisprudenza si mostrano per lo più critiche, ponendo in endiadi l’intento soggettivamente perseguito con il potere oggettivamente esercitato e dunque mostrando di preferire la tesi della “de-psicologizzazione” della volontà espressa dalla p.a. nel provvedimento. Controversa è l’ammissibilità dell’interpretazione autentica dell’atto amministrativo, in grado di precludere la ricerca di opzioni esegetiche differenti da quelle indicate dall’amministrazione autrice/interprete. Fino ad anni recenti, dottrina e giurisprudenza apparivano concordi nel senso di negare l’applicabilità agli atti amministrativi del criterio dell’interpretazione contro l’autore della clausola, codificato dall’art. 1370 c.c.: l’evoluzione più recente ha invece aperto delle significative crepe in tale cristallizzato orientamento. Nella seconda parte, il contributo distingue l’interpretazione delle clausole del bando sanzionate espressamente con l’esclusione dalla gara, per le quali la giurisprudenza amministrativa ha elaborato il cd. criterio formale (ed i suoi limiti), e l’interpretazione delle clausole del bando non sanzionate espressamente con l’esclusione, in ordine alle quali la stessa giurisprudenza sostiene invece la primazia del cd. criterio teleologico.
2005
8813260377
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11587/109810
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