Il 27 febbraio 1917, giorno in cui cade il regime zarista, è stato individuato dalla storiografia ortodossa ucraina come l’inizio di una nuova era per la Chiesa ucraina uscita finalmente dalla “bara russa”, in cui era stata rinchiusa per oltre duecento anni, con la speranza di potere ottenere libertà per una Chiesa autocefala, fratellanza di tutte le fedi in materia ecclesiastica, istituzione di un Sinodo popolare, piena apoliticità e completa separazione dallo Stato che non avrebbe più dovuto interessarsi di problemi ecclesiastici. Queste richieste, se significavano una netta cesura rispetto alla storia delle Chiese ortodosse divenute strumento della politica di stato nell’Impero zarista, ribadivano comunque, con la proposta di una Chiesa “ucraina”, lo storico legame tra Chiesa e nazione, tra fattore etnico nazionalistico e religione che si era riverberato nelle diverse regioni dell’ex Impero tra ortodossi e cattolici interpreti nello stesso Paese di due fedi che si erano identificate nella “nazione” russa e nella “nazione” polacca. Pertanto, nel momento in cui l’Impero zarista si sfascia, le rivendicazioni nazionaliste sul piano politico portano con sé altrettante rivendicazioni, per quanto riguarda l’ortodossia, di Chiese nazionali, all’inizio autonome poi autocefale, e per il cattolicesimo del riconoscimento di una diversificazione di riti che dividevano i fedeli come, o più, dell’appartenenza a fedi diverse. Sulla base di una ricchissima documentazione reperita negli Archivi Segreti Vaticani, si ripercorre qui l’esperienza dei cattolici “uniati” e della loro Chiesa, per poi analizzare la loro situazione al momento del crollo dell’Impero russo e dello scoppio della prima guerra mondiale, quando quella Chiesa, sopravvissuta nell’Impero asburgico soprattutto tra gli ucraini della Galizia (conquistata dall’Austria insieme alla Podolia e poi nel 1848 suddivisa in Galizia orientale e Galizia occidentale, o Piccola Polonia), subì un processo di russificazione con la giustificazione che la Chiesa uniate era filoasburgica e quindi “nemica” dell’Impero zarista. Roma, nel 1917, segue quindi con particolare attenzione quanto accede nella Russia rivoluzionaria, avendo come obiettivo principale quello di limitare l’espansione dell’ortodossia. Attraverso le informazioni giunte in Segreteria di Stato in gran parte attraverso i canali delle Nunziature emergono i tentativi della S. Sede di recuperare in quegli anni al cattolicesimo i territori della Russia bianca e dell’Ucraina attraverso il rafforzamento proprio del cattolicesimo di rito orientale. In questo contesto si intersecano e si studiano a Roma i tentativi di creazione di una Chiesa ucraina autocefala, l’atteggiamento della Chiesa ortodossa nei territori cattolici, quello dei cattolici polacchi, e le istanze di una popolazione ucraina divisa tra greco-cattolici, cattolici e ortodossi trovatisi a convivere nei nuovi territori ucraini che si andavano ridisegnando dopo il crollo dell’Impero. Agli alti prelati del Vaticano, che ne riferivano al Pontefice, il compito di valutare quali opportunità si aprissero per la Chiesa cattolica di Roma di fronte all’inasprirsi delle vicende rivoluzionarie russe e ucraine che vedevano quelle terre e quelle popolazioni contese tra polacchi cattolici e bolscevichi russi.

Nazionalismi, fedi religiose e Vaticano in Ucraina (1917-1922)

PELLEGRINO, MANUELA
2001-01-01

Abstract

Il 27 febbraio 1917, giorno in cui cade il regime zarista, è stato individuato dalla storiografia ortodossa ucraina come l’inizio di una nuova era per la Chiesa ucraina uscita finalmente dalla “bara russa”, in cui era stata rinchiusa per oltre duecento anni, con la speranza di potere ottenere libertà per una Chiesa autocefala, fratellanza di tutte le fedi in materia ecclesiastica, istituzione di un Sinodo popolare, piena apoliticità e completa separazione dallo Stato che non avrebbe più dovuto interessarsi di problemi ecclesiastici. Queste richieste, se significavano una netta cesura rispetto alla storia delle Chiese ortodosse divenute strumento della politica di stato nell’Impero zarista, ribadivano comunque, con la proposta di una Chiesa “ucraina”, lo storico legame tra Chiesa e nazione, tra fattore etnico nazionalistico e religione che si era riverberato nelle diverse regioni dell’ex Impero tra ortodossi e cattolici interpreti nello stesso Paese di due fedi che si erano identificate nella “nazione” russa e nella “nazione” polacca. Pertanto, nel momento in cui l’Impero zarista si sfascia, le rivendicazioni nazionaliste sul piano politico portano con sé altrettante rivendicazioni, per quanto riguarda l’ortodossia, di Chiese nazionali, all’inizio autonome poi autocefale, e per il cattolicesimo del riconoscimento di una diversificazione di riti che dividevano i fedeli come, o più, dell’appartenenza a fedi diverse. Sulla base di una ricchissima documentazione reperita negli Archivi Segreti Vaticani, si ripercorre qui l’esperienza dei cattolici “uniati” e della loro Chiesa, per poi analizzare la loro situazione al momento del crollo dell’Impero russo e dello scoppio della prima guerra mondiale, quando quella Chiesa, sopravvissuta nell’Impero asburgico soprattutto tra gli ucraini della Galizia (conquistata dall’Austria insieme alla Podolia e poi nel 1848 suddivisa in Galizia orientale e Galizia occidentale, o Piccola Polonia), subì un processo di russificazione con la giustificazione che la Chiesa uniate era filoasburgica e quindi “nemica” dell’Impero zarista. Roma, nel 1917, segue quindi con particolare attenzione quanto accede nella Russia rivoluzionaria, avendo come obiettivo principale quello di limitare l’espansione dell’ortodossia. Attraverso le informazioni giunte in Segreteria di Stato in gran parte attraverso i canali delle Nunziature emergono i tentativi della S. Sede di recuperare in quegli anni al cattolicesimo i territori della Russia bianca e dell’Ucraina attraverso il rafforzamento proprio del cattolicesimo di rito orientale. In questo contesto si intersecano e si studiano a Roma i tentativi di creazione di una Chiesa ucraina autocefala, l’atteggiamento della Chiesa ortodossa nei territori cattolici, quello dei cattolici polacchi, e le istanze di una popolazione ucraina divisa tra greco-cattolici, cattolici e ortodossi trovatisi a convivere nei nuovi territori ucraini che si andavano ridisegnando dopo il crollo dell’Impero. Agli alti prelati del Vaticano, che ne riferivano al Pontefice, il compito di valutare quali opportunità si aprissero per la Chiesa cattolica di Roma di fronte all’inasprirsi delle vicende rivoluzionarie russe e ucraine che vedevano quelle terre e quelle popolazioni contese tra polacchi cattolici e bolscevichi russi.
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